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Noi, i killer

Noi, i killerSbarco di migranti a Lesbo, in Grecia nel 2015 – Reuters - LaPresse

Astrit Dakli Il 31 gennaio 2016 è morto a Roma Astrit Dakli. Questo suo editoriale sulla morte di migranti a Portopalo, in Sicilia, è stato pubblicato sul manifesto del 10 agosto 2004.

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 2 febbraio 2016

Il 31 gennaio 2016 è morto a Roma Astrit Dakli. Questo suo editoriale sulla morte di migranti a Portopalo, in Sicilia, è stato pubblicato sul manifesto del 10 agosto 2004.

Ventotto persone – è il conto ufficiale – sono state uccise nel Mediterraneo nei giorni scorsi, mentre tentavano di raggiungere dall’Africa le coste europee.

Sono state uccise, assassinate, anche se nessuno ha premuto il grilletto: dire semplicemente che sono morte – e magari imbellettarsi con la generosità dei soccorsi prodigati ai superstiti portati all’asciutto in Europa (sorvolando sul fatto che saranno immediatamente rinchiusi in un lager e poi rispediti in Africa) significa nascondere la verità e coprire gli assassini. Che esistono e hanno nomi e cognomi, anche se le leggi vigenti non rendono facile chiamarli in giudizio.

Inutile far finta di niente: in base alle regole della democrazia, gli assassini di quelle ventotto persone – nonché di molte altre che sono state uccise prima di loro e di chissà quante che saranno uccise in futuro – siamo noi. Noi cittadini europei, noi che abbiamo eletto governanti e dirigenti politici (italiani in prima fila, ma in buona compagnia) sulla base di mandati che hanno questi omicidi come conseguenza inevitabile. Sono questi governanti che hanno via via modificato le regole di comportamento in mare, trasformando un elementare e tradizionale dovere umanitario – soccorrere chi rischia di affogare – valido da quando esiste la navigazione, in un temerario atto quasi delittuoso. Un atto che può portare addirittura in galera (come spiega bene oggi su queste colonne Elias Bierdel, il responsabile della Cap Anamur) se compiuto senza rispettare una sempre più complessa e rigida sequenza di preavvisi e autorizzazioni, senza consultare sempre più numerosi e burocratici organismi di controllo, senza passare insomma attraverso un labirinto al cui interno basta l’assenza o la svogliatezza di un funzionario a fermar tutto – per il tempo necessario a far crepare chi sta annegando.

Un meccanismo costruito apposta per scoraggiare lo spirito umanitario di chi si trova in mare; e per consentire a chi deve decidere qualcosa a terra di lavarsene le mani, ributtando su altri la responsabilità: una capitaneria sull’altra, un comando sull’altro, un governo sull’altro, fino alle ovvie conseguenze.

E’ la paura che spinge gli animali feroci a uccidere, si sa. Ed è la paura che ha spinto i cittadini e i governanti dell’Europa a 25 a rinnegare l’umanità e gli ideali che di quell’Europa dovrebbero essere il fondamento e a costruire la macchina che ferma i migranti in mare, uccidendoli. Una paura logica: abbiamo sulle spalle infiniti delitti, guerre e stermini compiuti contro i popoli da cui provengono i migranti di oggi; e temiamo che ci si presenti il conto. Non era la paura dei propri passati delitti che spingeva i leader della defunta Ddr a montare sulle frontiere i famigerati fucili automatici, che sparavano da soli su chi cercava di oltrepassarle? Ma non era una buona idea, e non li ha salvati.

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