Ricordando Astrit

Ho visto Astrit per la prima volta a Budapest nella tarda primavera del 1998. Ci era venuto per scrivere un lungo articolo sulla destra di Viktor Orbán che aveva appena vinto le elezioni e si preparava a governare. Io avevo iniziato a collaborare al Manifesto due anni prima e in quei giorni il mio compito consisteva nell’aiutare Astrit a realizzare incontri e interviste per il suo reportage. Ricordo con piacere le chiacchierate distensive nei momenti di pausa tra un incontro e l’altro, ricordo divertito anche i suoi racconti di esperienze singolari che aveva fatto a Mosca in piccoli centri abitati della Siberia all’epoca in cui era corrispondente dall’ex Urss.

Tra la seconda metà degli anni ’90 e i primi anni 2000 ho lavorato molto con lui. Il più delle volte ci sentivamo telefonicamente per concordare gli articoli che dovevo scrivere da Budapest. Mi viene da pensare ai suoi modi pacati e affabili che però non erano privi di una certa fermezza quando non era d’accordo su qualcosa. Ci si vedeva ogni tanto a via Tomacelli in occasione delle mie visite a Roma e ci siamo visti tra i lacrimogeni di Genova in quei brutti giorni di luglio del 2001 targati G8.

ltimamente avevamo stabilito un contatto via Linkedin ma non lo sentivo da un po’. Astrit è per me legato al ricordo di quei miei primi anni al Manifesto nei quali ho avuto in lui un interlocutore assiduo, attento e amichevole. Un interlocutore aperto che con il suo lavoro ha contribuito in modo significativo a fare del Manifesto il giornale dell’impegno.
Massimo Congiu

Ciao, Astrit

Passavo davanti al tuo ufficio, «Ciao, Astrit», alzavi la testa e subito vedevo il tuo sorriso gentile. Se avevi da fare lo dicevi subito e mi liquidavi con garbo. Altrimenti erano chiacchiere, dalle quali magari nasceva un pezzo da scrivere per il giornale e che si concludevano davanti a un caffè al bar Antille di via Tomacelli, o al meno glorioso Bargoni della nuova sede di via Bargoni.

Una mattina di tanti anni fa ci incontrammo a Trastevere. Era una di quelle giornate romane che invitano a prendersela comoda. Ci ritrovammo a parlare a lungo di noi, del nostro lavoro, delle cose fatte e di quelle che ormai era tardi per fare. Fu una mattina bellissima, ci eravamo scoperti anche amici capaci di confidenze. Un pomeriggio, era appena uscito il libro tuo e di Dondero, ti fermai nei corridoi del giornale per dirti che l’avevo letto e mi era piaciuto molto. Nel tuo semplice grazie suonava ben di più.

Se parlavi dei tuoi anni a Mosca, lo facevi senza mai sembrare l’inviato onnisciente. Eppure di quella città e di quel Paese sapevi quasi tutto. Anche questo amavo di te. Ciao. Astrit, ti devo una parte dell’amore che mi unisce da oltre trent’anni a quella grande complicazione che si chiama Il manifesto. La devo a te e a quelli che oggi non ci sono più, come Carla e Stefano. Ti abbraccio forte da lontano.
Luciano Del Sette 

Le bellissime corrispondenze

Noi tutti vi siamo vicini per la scomparsa di Astrit Dakli, del quale abbiamo letto le bellissime corrispondenze dall’estero.
Associazione Antigone

Una pugnalata alla schiena

Con Astrit ho fatto coppia fissa per due anni al Quotidiano dei Lavoratori, sezione Esteri. Eravamo diversi. Lui preciso e veloce e con stile di scrittura cristallino, molto giornalista, io lento, qualche volta intuitivo, indeciso tra cronache-commenti in redazione e attività politica nell’hinterland milanese. Il risultato dell’abbinamento era buono.

Credo che ci volessimo bene. Al manifesto, io a Milano lui a Roma, ci siamo voluti bene anche di più, le poche volte che ci siamo incontrati o sentiti. Poi lui è rimasto al manifesto a scrivere le più belle corrispondenze da Mosca che si potessero trovare sulla stampa italiana, io ho vagato qua e là. Non sapevo niente della sua malattia, pensavo che si fosse appartato per una prevalenza in lui del riserbo (e io sempre più orso, del resto).

Ieri la notizia mi è arrivata come una pugnalata nella schiena. Un altro nome nella riserva dei ricordi, ma i ricordi non si sa se servono o no.
Mario Gamba

Che il tuo viaggio continui

I pezzi di Astrit per me rappresentano quel pezzo di vita che mi ha portato a considerare «il manifesto» una casa accogliente, un manuale di scrittura, un pungolo per la mia coscienza torpida, uno stimolo a mettermi in ascolto di tutti quei pezzi di mondo che non conoscevo e ho cominciato a scrutare grazie a lui.

Perdere una persona così è davvero una sciagura: ovunque sia adesso, spero che il suo viaggio continui ancora a lungo.
Andrea Voglino

Una finestra sull’est

Astrit Dakli ci ha lasciato, dopo una lunga malattia. Astrit era la nostra finestra sull’est, ma non solo. Giornalista, scrittore e compagno si è speso nella battaglia comune per un altro manifesto possibile.

Siamo vicini alla famiglia e a tutti coloro che gli hanno voluto bene. Un saluto a pugno chiuso e che la terra ti sia lieve.
Ass. il Manifesto in rete

Grazie per il ritratto

Grazie per il ritratto-racconto fatto da Tommaso Di Francesco. Ho ritrovato l’essere umano conosciuto e tanto apprezzato, anche per quel suo riserbo, “il rifiuto del presenzialismo” ad ogni costo che tanto lo distingueva dai suoi colleghi, a cominciare dagli altri corrispondenti che tornavano da Mosca, sempre senza aver capito nulla e aver scritto troppo.

Anni dopo essere rientrato vi tornò per girare il paese dopo l’Urss e con il grande Dondero fece “I rifugi di Lenin”, bellissimo per come era scritto e fotografato. Giustamente Tommaso chiede una riedizione del libro. Quando uscì lo presentammo all’Osservatorio geopolitico e facemmo gran festa a lui e a Dondero. Lo ricordo in quel’occasione più schivo che mai.

Con un gran dolore vi abbraccio.
Rita di Leo