Niger, su cliché occidentali e sovranismi prospera il jihadismo
Di golpe in golpe Il sostegno ai golpisti trova accoliti anche nel sovranismo europeo: si proclama espressione della più genuina volontà del popolo e spiega i successi degli islamisti con il presunto doppio gioco degli occidentali e il lassismo del ceto politico da loro selezionato. Intanto i jihadisti avanzano verso le città
Di golpe in golpe Il sostegno ai golpisti trova accoliti anche nel sovranismo europeo: si proclama espressione della più genuina volontà del popolo e spiega i successi degli islamisti con il presunto doppio gioco degli occidentali e il lassismo del ceto politico da loro selezionato. Intanto i jihadisti avanzano verso le città
«Il generale Tiani non è Che Guevara», esclama Adbel Fatau Musah parlando della giunta militare che tiene in ostaggio il legittimo presidente del Niger, Mohamed Bazoum, cercando di scalzarlo attraverso l’accusa di alto tradimento.
Musah è Commissario agli affari politici, alla pace e alla sicurezza della Cedeao, la Comunità economica dell’Africa occidentale: chiarisce che l’opzione del negoziato resta aperta, ma c’è consenso sull’operazione di ripristino dell’ordine costituzionale. È stata fissata una data, e non ci sarà bisogno di ulteriori riunioni.
CONTRARIE alla partecipazione solo Capo Verde e le giunte golpiste, che fanno sfoggio di solidarietà con i militari nigerini, inviando a Niamey un paio di obsoleti velivoli militari. Molto poco, davanti all’aviazione di Nigeria, Ghana o Costa d’Avorio.
Certo, c’è la contrarietà delle forze di opposizione, la perplessità dell’Unione africana, i timori per una destabilizzazione su più ampia scala.
Ma è in gioco niente meno che la legittimità politica di tutti. Si contano ormai sette colpi di stato in tre anni in uno spazio politico regionale (la Cedeao) fondato su un patto di mutuo intervento in difesa della democrazia, con i precedenti di Gambia e Liberia.
Se Tiani non è Guevara, il generale Barmou, a lungo referente per il controterrorismo statunitense e occidentale, non è certo Thomas Sankara. Né lo sono gli altri alti ufficiali nigerini che, insoddisfatti della guida politica civile, hanno infine trovato l’accordo per il putch, allineandosi politicamente con Mali, Burkina Faso e Guinea.
MAN MANO che la propaganda socialmediatica batte il tamburo, celebrando le giunte militari come incarnazione della volontà popolare anticoloniale, sfumano le domande sull’origine del potere delle nuove caste putchiste, pasciute da una dozzina d’anni di security assistance occidentale, fra boom della spesa militare, tentativi di golpe e scandali messi in sordina.
Lo schema analitico del sussulto anti-francese fatica non poco a spiegare l’iniziativa di due giganti (anglofoni) della Cedeao come Nigeria e Ghana. Ma i fan delle giunte raramente si sottraggono al vizio coloniale di rappresentare l’Africa come pedina, finendo per sminuirne la stessa capacità di iniziativa.
Per eserciti, media, businessmen e politici l’Africa resta il continente sul quale riciclare cliché. Le credenziali di conoscenza contano fino a un certo punto, così come l’esperienza sul campo o la dimestichezza con le lingue: ad affermarlo è Achille Mbembe, punto di riferimento del pensiero postcoloniale africano.
In una recente intervista su Jeune Afrique, Mbembe riconosce come la «critica interminabile della Françafrique» non possa dispensarci rispetto alla necessità di sviluppare una seria riflessione sul passato e sui divenire africani: in assenza di questa riflessione, la critica del ruolo della Francia si riduce a «maschera per una formidabile indigenza intellettuale».
SONO TRASCORSE ormai tre settimane dal putch militare di Niamey, che ha messo il Niger, uno dei paesi più poveri al mondo, sotto la pressione delle sanzioni e della minaccia di intervento. Mentre Bazoum lanciava appelli alla comunità internazionale, la giunta non ha fatto un solo passo indietro o di lato, giocando al gatto col topo con le delegazioni negoziali.
I ministri lealisti non accettano che si parli di «transizione», mentre i militari parlano di transizione in atto, hanno designato un proprio esecutivo di facciata e nominato persino un referente per i diritti umani.
I due fronti presentano rivalità e fratture interne, che potrebbero offrire opportunità di mediazione, ma che restano solo elementi di ulteriore incertezza. Così, di chiusura in chiusura, una crisi che poteva restare regionale (i nigeriani avevano inviato il Sultano di Sokoto, rispettata autorità tradizionale della regione di confine), è stata spinta nella trappola di un gioco geopolitico più ampio, con tanto di contatti con i russi di Wagner, teorie del complotto che chiamano in causa gli stati del Golfo e trepidazione per le scelte dell’Occidente, la cui presenza militare in Niger è assai radicata, Francia e Usain primis.
SE GLI EVENTI non verranno fatti precipitare, è plausibile che gli Stati uniti, la cui nuova ambasciatrice è in arrivo a Niamey, cercheranno un modus vivendi con la giunta, anche qualora la Francia ripiegasse altrove. È probabile che, al pari della Germania, anche l’Italia, che partecipa a ben tre missioni militari nel paese, cercherà di restare, come già in Burkina Faso.
I jihadisti di Stato islamico e al Qaida, che si combattono per contendersi risorse e territorio, festeggiano vedendo nello scontro che si prefigura, con il coinvolgimento dei paesi costieri, le migliori condizioni per il loro ulteriore radicamento nel Sahel e per l’espansione nel Golfo di Guinea. Daesh intensifica i propri attacchi lungo le linee di frontiera, mentre i qaidisti di Jnim cingono ormai d’assedio la città-simbolo di Timbuktu.
L’insediamento di nuove giunte militari nell’Africa occidentale non ha portato successi nelle strategie di contro-insorgenza. L’arrivo sul terreno dei russi di Wagner lascia una pesante scia di massacri e abusi sui civili, senza che i jihadisti appaiano arginati.
Il sostegno ai militari golpisti ha però acquisito ormai una dimensione transnazionale e accoliti anche tra sovranisti e ‘antimperialisti’ in Europa: punta il dito contro la sudditanza verso Francia e Occidente, la corruzione clientelare e le pulsioni autoritarie delle democrazie africane.
SI PROCLAMA espressione della più genuina volontà del popolo e vettore di integrità morale. Spiega i successi dei jihadisti con il presunto doppio gioco degli occidentali e con il lassismo del ceto politico da loro selezionato per impadronirsi delle risorse. I militari citano il successo di campagne anti-islamiste del passato, omettendo i pessimi risultati del presente.
In ultima analisi, se incalzati, richiamano la necessità di sterminio dei terroristi. Intanto i jihadisti avanzano verso le città. Nulla garantisce, domani, rispetto a un esito sudanese, con militari e paramilitari che si combattono saccheggiando il paese.
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