Nicaragua, Ortega svuota le celle
Nicaragua Presi all’alba da tutto il Paese, caricati su un aereo a Managua, spediti a Washington: così il presidente si è liberato di 222 detenuti politici. Solo il vescovo Alvarez ha rifiutato il volo
Nicaragua Presi all’alba da tutto il Paese, caricati su un aereo a Managua, spediti a Washington: così il presidente si è liberato di 222 detenuti politici. Solo il vescovo Alvarez ha rifiutato il volo
Ha del clamoroso la repentina liberazione giovedì scorso di pressoché tutti i prigionieri politici in Nicaragua, insieme alle sue sorprendenti modalità: 222 detenuti che senza nulla sapere sono stati concentrati all’alba dalle carceri di tutto il Nicaragua all’aeroporto di Managua per montare su un volo ad hoc che li ha trasferiti a Washington. Ponendo fine a un incubo che si prolungava ormai da almeno un paio d’anni in condizioni disumane d’isolamento.
UNA DECISIONE presa unilateralmente, come confermato in un discorso a reti unificate dallo stesso presidente Daniel Ortega, accompagnato dalle massime cariche civili, politiche, giudiziarie e militari del regime, che precisa di non aver chiesto nulla in cambio agli Stati uniti a partire dalla sospensione delle sanzioni che gravano sui beni di 21 membri del suo clan familiare e non solo, oltre che di istituzioni quali la Policia Nacional (retta dal consuocero). Mentre il segretario di stato degli Stati uniti Antony Blinken, cui è bastato mettere a disposizione il velivolo, gli ha fatto eco parlando di «dialogo ora possibile».
Ma mentre se ne “disfava” e avevano già spiccato il volo, il parlamento orteguista ha modificato l’art. 21 della Costituzione, introducendo l’inedita privazione della nativa cittadinanza nicaraguense di coloro che aveva definito “traditori figli di cagna assoggettati all’imperialismo yankee”: quindi esiliati e apolidi ad un tempo.
SI TRATTA di oppositori delle più svariate tendenze politiche, a cominciare da sandinisti dissidenti come la comandante guerrillera Dora Maria Tellez, l’ex viceministro degli esteri durante il governo rivoluzionario degli anni ‘80 Victor Hugo Tinoco e l’ottantente allora ex sacerdote-ministro (alla famiglia) Edgar Parrales. Seguiti da diversi precandidati alle presidenziali-farsa del 2021 (ficcati in galera prima di poter concorrere) a cominciare da Cristiana Chamorro, figlia della ex presidente Violeta Barrios, che era ai domiciliari, e di suo fratello Pedro Joaquin. Per continuare con l’ex capo della confindustria locale José Adan Aguerri. E la moglie dell’ex presidente Arnoldo Aleman col quale Ortega fece il diabolico patto con l’oligarchia che lo riportò nel 2007 alla presidenza. E così pure: giornalisti, accademici, diplomatici, magistrati, dirigenti sindacali e contadini, difensori dei diritti umani…
SONO STATI POI liberati studenti come Lesther Aleman e Max Jerez, fra i leader che capeggiarono la rivolta dell’aprile del 2018 (che seguimmo sul posto in queste pagine) che mobilitò l’intera popolazione in manifestazioni oceaniche contro la tirannia. Quella sollevazione fu poi soffocata nel sangue con 350 vittime ufficiali in tre mesi (ma sarebbero almeno il doppio) per quello che Ortega si precipitò a definire un tentato golpe ordito dagli Usa.
Da ultimo hanno preso il volo i sette fra sacerdoti e seminaristi condannati la settimana scorsa a dieci anni per “cospirare” contro lo stato. Solo il vescovo di Matagalpa, Rolando Alvarez, sotto processo, si è rifiutato di montare sull’aereo dichiarando «non voglio lasciare il mio paese». Così che il prelato è stato subito trasferito dagli arresti domiciliari nella casa di famiglia direttamente al penitenziario di El Chipote.
La redazione consiglia:
«Non lascio il paese»: il vescovo rifiuta il volo svuota-celle (e prende 26 anni)NON È SEMPLICE a caldo dare un’interpretazione di questa decisione improvvisa quanto generosa da parte del regime nicaraguense. Da tempo si specula su trattative riservate (ovviamente includenti la sorte di questi detenuti) con l’amministrazione Biden per il ristabilimento di qualche parvenza di democrazia.
Di certo ci sono pesanti segnali di malessere all’interno dell’orteguismo. A cominciare dall’incredibile recente diverbio pubblico (filmato) fra Ortega e la sua vice, nonché consorte, Rosario Murillo. Ovvero colei che di fatto è pure una sorta di (assai detestata) primo ministro; e che tiene sotto ricatto il marito dagli anni ’90 quando sconfessò la propria figlia Zoilamerica che accusava il patrigno di aver abusato di lei da adolescente.
Dalle elezioni municipali dello scorso novembre (in cui la totalità dei 153 sindaci sono stati scelti tra fedelissimi del regime) sono state poi numerose le rimozioni da alte cariche della magistratura, della polizia e dell’esercito, di figure storiche vicine a Ortega, qualcuna finita anche al Chipote. E lo stesso discorso rivolto da Ortega l’altro ieri alle massime figure istituzionali aveva un che d’intimidatorio. Senza contare che a diversi funzionari di governo è stata negata l’estensione del passaporto. Segni di debolezza intorno alla folle coppia presidenziale. Anche se forse è prematuro parlare di rischio d’implosione del sistema autarchico.
DI CERTO CON QUESTA liberazione dei dissidenti, dopo aver verificato che Russia e Cina non gli avrebbero assicurato un aiuto materiale significativo, il Nicaragua (al di là di Cuba e il Venezuela) cerca di rompere l’isolamento anche nell’ambito della sinistra latinoamericana da poco ascesa al governo, come in Cile e Colombia; mentre il Brasile del neo Lula tentenna. Al contempo Ortega deve garantirsi il mantenimento dell’insostituibile flusso dei commerci con gli Stati uniti, nell’ambito dell’accordo di libero scambio Cafta centroamericano.
PER IL RESTO, se di questo paese irrilevante e rimosso (che contende all’Honduras il primato di povertà nella regione) se ne parlava ogni tanto solo nelle Americhe e in Spagna proprio per quei prigionieri, ora non ci sarà più neanche quell’argomento. Inutile rischiare di pagare dunque il prezzo per la morte di stenti di qualche altro carcerato, come toccò lo scorso anno al mitico generale sandinista Hugo Torres. Meglio che incomba il silenzio totale su questo Nicaragua che si è ormai convertito nella Corea del Nord del subcontinente latinoamericano. Dove non si muove foglia che Daniel e Rosario non vogliano.
Ma con una differenza sostanziale con Pyongyang: che tutto si viene a sapere, grazie all’incontenibile rete dei social che mantiene in contatto l’interno impaurito del paese con (si stima) gli almeno duecentomila nicaraguensi fra oppositori ed emigrati “economici” che hanno riempito il vicino Costarica e che continuano a riversarsi verso il nord.
CUI SI SONO AGGIUNTI ora i 222 ex prigionieri di giovedì scorso che il Premio Cervantes per la Letteratura, Sergio Ramirez, nonché vicepresidente di Daniel Ortega per tutto il decennio della Rivoluzione Popolare Sandinista, ha con sollievo definito dal suo esilio a Madrid “desterrados (esuli, privati della loro patria) ma nicaraguensi più che mai…”.
Quello stesso Dottor Ramirez che all’indomani della sconfitta elettorale del febbraio 1990, che costituì paradossalmente l’opera maestra della Rivoluzione per aver consegnato democraticamente il potere a donna Violeta, assunse l’incarico di capogruppo del Fronte Sandinista in parlamento col proposito di costruire altrettanto democraticamente le condizioni per tornare al governo alle successive consultazioni. Ma il sempiterno segretario del Fsln Daniel Ortega, nel suo delirio di potere, distrusse ben presto quel processo di dignificazione di un popolo intero.
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