Visioni

New Orleans in bilico tra inferno e paradiso

New Orleans in bilico tra inferno e paradisoNew Orleans, 2019\ – foto Ap

Anime urbane Viaggio nei riti collettivi della città dove la musica fa da collante del grande agglomerato umano. Definita «sirena tentatrice», si muove in un dedalo di culture americane, africane e francesi

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 14 giugno 2022
Flaviano De LucaNEW ORLEANS

All’ingresso della House of Blues, uno sgargiante murale incuriosisce subito con una sfilata di personaggi, in primo piano un banditore afroamericano col cappello a cilindro, tuxedo bianco, papillon rosso e la fascia trasversale con la scritta «Spirit of New Orleans». Quello stravagante e folle senso comunitario che t’avvolge subito passeggiando sul bordo del Grande Fiume (il Mississippi), quella sensazione di buonumore trasmessa dalla città più musicale del pianeta dove le note ti rincorrono per strada e si combinano in jazz, blues, funk, rap, che risuonano nei locali, quel posto famoso per la chiassosa e variopinta celebrazione del Mardi Gras, grande rito collettivo tra costumi bizzarri, ritmi allegri e memorie africane. «New Orleans è una sirena tentatrice, un posto da favola, un’illusione» (Una canzone per Bobby Long, 2004).

NEL DIPINTO il marshal cerimoniere guida il corteo con un grande ombrello aperto, sovraimpressi i gigli francesi dorati a tre petali, simbolo di regalità e di questa misteriosa città portuale, seguito da una masnada di ottoni – tromba, clarinetto, trombone, sassofono, basso tuba- persino un tamburino e un banjo, tutti col cappello bianco da banda della Marina, probabilmente la rappresentazione di una delle tante parate viste in giro. In cielo un volto tondo ampiamente riconoscibile, il grandissimo Louis Armstrong (che ti accoglie all’arrivo. A lui, il figlio più famoso di questa terra, è stato intitolato l’aeroporto, con gigantografie sue e di altre stelle del jazz) che soffia nella tromba come un angelo protettore dei musicisti di strada. Le processioni funebri, le feste di matrimonio col passaggio di sposi, amici e parenti per le strade con band d’accompagnamento, i musicisti ambulanti di grande qualità, le sfilate in ogni occasione pubblica sono la linfa vitale di New Orleans, la città che saltella sul pentagramma. Nel Quartiere Francese, il nucleo storico dal tracciato regolare di stradine intrecciate, si susseguono i ritrovi, i bar, i club uno dopo l’altro, creando un flusso sonoro conturbante. «Il loro incredibile ritmo/ suona sempre/ Inizia di giorno, va avanti per tutta la notte/ Quando senti quella musica suonare/ Ascolta quello che sto dicendo, cominci a sentirti bene/ Tesoro, c’è un po’ di dolcezza in giro/ Prendila a New Orleans/ Abbiamo la magìa, nel bene e nel male (Down in New Orleans, Dr.John). La culla del jazz, la patria del blues, la zona che ha sparso a piene mani i semi del primo rock’n’roll è tutta in questi isolati, di edifici bassi con le balconate in ferro battuto, i porticati di legno e felci verdi dappertutto, coronati dalla chiesa in pietra bianca a tre guglie nere di Saint Louis Cathedral, affacciati sulle massa d’acqua chiara che scorre lentamente proprio sull’orlo dell’argine dove Samuel Langhorne Clemens imparò a manovrare i battelli e ne descrisse tragitti e traversie facendosi chiamare con l’espressione gergale dei marinai, Mark Twain, facendoci volare nelle nostre dolci fantasie coi suoi magnifici eroi Tom Sawyer e Huck Finn.

All’inizio del ‘900 il cornettista Charlie «Buddy» Bolden era il musicista afroamericano più famoso nella ville (ancora nel 2022 il francese è lingua ufficiale dello stato come l’inglese) probabilmente l’inventore del jazz

Fondata nel 1992 da Dan Aykroyd e James Belushi, l’enorme fratellino dello scomparso Jim (con l’aiuto di Isaac Tigrett, l’ideatore della catena Hard Rock Cafè) dove si sono esibiti spesso come Jake e Elwood, i mitici Blues Brothers, la «casa della musica del diavolo» è uno dei rinomati templi sonori della Louisiana, situato naturalmente nel French Quarter, un grande spazio con tavolini tutto intorno e un contiguo palcoscenico dove davvero si respira il ritmo della serata, s’incoraggiano i musicisti a gran voce, ci si entusiasma a ripetizione, spinti anche dal calore del pubblico assiepato sulla balconata in legno. Un vero assedio circolare alla musica dal vivo, sette giorni su sette, in questa sala da concerto fornita di doviziosi bar e ristorante. Bravi a suonare e meno a gestire, Dan e Jim hanno venduto poi nel 2006 ai rivali, il colosso dell’entertainment Live Nation, il circuito di tutte le House of Blues, circa 15 locali, disseminate negli States. Si riconoscono spesso le canzoni del Delta Blues, inventate e fatte conoscere da Son House, Charles «Buddy» Bolden e Robert Johnson.

ALL’INIZIO del ‘900 il cornettista Charlie «Buddy» Bolden era il musicista afroamericano più famoso nella ville (ancora nel 2022 il francese è lingua ufficiale dello stato come l’inglese) probabilmente l’inventore del jazz, un titolo che rivendicheranno in molti, non lui che all’apice del successo, a trentun anni, verrà ricoverato definitivamente in manicomio. Aveva imparato a suonare di tutto e soprattutto a improvvisare ma non conosceva la musica e non registrò mai dischi perciò la sua fama leggendaria è trasmessa per via orale . Tuttavia fu il protagonista di mutamenti nella struttura ritmica e invenzioni sincopate adottati poi dalle brass band e dilagate nelle forme iniziali del jazz. Lo scrittore Michael Ondaatje ha studiato grandi quantità di documenti per il suo romanzo Buddy Bolden’s Blues, dove ha provato a ricreare il clima del periodo, tra bordelli e sale da gioco, inni di peccatori e negozi di barbiere (dove il musicista ha lavorato per anni). «Lui è la, sdraiato nella poltrona e soffia piano piano nella tromba d’argento, appena sopra a un sussurro, e vedo che ha messo il cappello sulla campana della cornetta… Sta suonando il blues e l’inno in modo ancora più triste del blues e poi il blues in modo ancora più triste dell’inno funebre. È la prima volta che ho sentito suonare inni e blues mischiati insieme».

PROPRIO LA MUSICA sembra il collante per tenere insieme le varie anime di questo agglomerato umano da mezzo milione di persone, in perenne bilico tra heaven and hell. L’inferno della povertà diffusa e della violenza sanguinosa, insieme con i vizi «storici» del luogo, la corruzione strisciante e il razzismo delle fasce sociali facoltose. Persino il governatore della Louisiana, lo stato della replicante Orleans (municipio col 60% di popolazione afroamericana), John Bel Edwards per quanto democratico, è un convinto sostenitore della legislazione anti aborto (e i repubblicani hanno qui presentato un disegno di legge che equipara la interruzione volontaria di gravidanza all’omicidio) in un grande stato a maggioranza bianca e conservatrice (alle elezioni presidenziali 2020 Trump ha preso il 58% dei voti e Biden il 40%). Tuttavia New Orleans ha eletto solo sindaci democratici ininterrottamente dall’inizio del ‘900. Recenti scandali hanno travolto Ray Nagin, sindaco ai tempi dell’uragano Katrina, l’uomo che aveva criticato pesantemente l’inerzia del presidente Bush e il ritardo nei soccorsi, poi condannato a dieci anni di reclusione, giudicato colpevole di 20 capi d’imputazione tra cui corruzione e riciclaggio di denaro. In particolare Nagin è finito sotto processo per aver preso bustarelle da aziende che volevano appalti per ricostruire la città dopo il devastante uragano Katrina del 2005.
L’attuale primo cittadino è l’afroamericana La Toya Cantrell, la prima donna a rivestire l’ufficio, sociologa molto attiva nel volontariato. La prima rappresentante ufficiale a scusarsi per il linciaggio degli italiani nel 1891, uno degli episodi di efferata crudeltà, 11 morti che non avevano niente a che fare con l’assassinio del capo della polizia, David Hennessy, forse ad opera della Mano Nera. Benché assolti al processo, gli imputati vennero tenuti in prigione mentre la parte più retriva della popolazione, aizzata anche dai giornali, si armava e sfondava le porte del carcere, fucilando e impiccando i malcapitati, sintomo di un clima violento con forte pregiudizio anti-italiano. E invece gli emigranti siciliani, così vilipesi e maltrattati, daranno la spallata decisiva alla definizione formale del jass poi jazz, parola più elegante e meno volgare.

(1- continua)

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