Il dibattito sulla guerra in Ucraina si è concentrato in maniera esorbitante sugli aspetti militari, e in modo meno vistoso su quelli geopolitici. Sebbene questi ultimi siano fondamentali per capire cosa sta succedendo manca quasi totalmente una analisi sui dati economico-finanziari interni, evocati maggiormente per la Russia, specialmente da parte di chi sperava di leggervi una caduta rovinosa per l’effetto della guerra economica condotta contro di essa dal blocco euroatlantico. Sull’Ucraina poco.
Per iniziare a colmare tale lacuna iniziamo col capire il rapporto di Kiev con alcuni creditori internazionali.

Com’è noto nel 2014 vi fu un violento rivolgimento politico che spostò il paese dalla sfera russa a quella occidentale, con moti di piazza che costrinsero alla fuga il presidente in carica, lasciando il governo nella mani delle forze sostenute da Usa e Ue. Da allora Kiev è considerata pro-Occidente. Meno noto è il fatto che le istituzioni internazionali fedeli a Washington hanno iniziato a pompare soldi nel paese. Poco dopo il cambio di regime di febbraio 2014, ad aprile successivo venne approvato un sostegno di 17 miliardi da parte del Fondo Monetario Internazionale, con lo stanziamento immediato di 3,9 mld.

Il Fondo era già presente nel paese: nel 2010 aveva già approvato lo stanziamento di 15 mld, le cui dure condizioni avevano fatto sì che il prezzo del gas per le famiglie raddoppiasse. Nel 2013 il nuovo presidente considerato filorusso (quello precedente era molto vicino agli Usa) considerò troppo dure le condizioni imposte dal FMI preferendo volgersi al Cremlino. Dopo che venne defenestrato i funzionari occidentali tornarono ad imporre le loro condizioni al paese. Ma ciò non salvò il paese da una preoccupante depressione, anche dovuta alla guerra civile con i separatisti del Donbass, per cui nel 2015 il Fondo dovette tornare a pompare valuta nel paese.

Come conseguenza si succedettero nel quinquennio le consuete riforme neoliberiste: licenziamento del 10% dei dipendenti pubblici, taglio delle spese dell’educazione (-20%) e della sanità (-40%!). Nel desolante clima di una guerra non risolta e l’incalzare dell’economia di mercato venne organizzata una conferenza annuale incentrata sulle famose “riforme”: la Ukraine Reform Conference; nell’edizione 2018 il dibattito era incentrato sulla privatizzazione delle aziende pubbliche e delle banche. Anche ignorando l’ingente supporto militare NATO sarebbe bastato questo per squadernare l’evidenza che l’Ucraina era diventato un feudo del blocco euroatlantico economicamente e politicamente.

Immediatamente prima dell’attacco russo, il 21 febbraio 2022 un comunicato stampa della Commissione europea informa che in aggiunta ai 5 mld prestati fra il 2014-16 si sarebbero aggiunti ulteriori 1,2 mld “salvi i presupposti politici e un’attuazione soddisfacente del programma dell’FMI”.

Parallelamente il 14 febbraio 2022 (una settimana prima) gli Usa offrivano un prestito di 1 mld $ “per sostenere il suo programma di riforme economiche e il costante impegno con il Fondo monetario internazionale”, ricordando come i precedenti prestiti di 5 mld siano stati funzionali al nuovo contesto economico ed a contenere “l’aggressione russa”(!).

È quindi evidente che all’alba della guerra l’Ucraina era un paese già pesantemente indebitato e soggetto ad un severissimo programma neoliberale, oggetto degli appetiti delle aziende del blocco occidentale. Un indebitamento di tale genere non può che preludere al violento saccheggio delle risorse del paese; con la caduta del pil del paese nel 2022 di oltre -30% e con gli Usa che hanno iniziato a versare mensilmente 1,5 mld a Kiev per il funzionamento del governo (cioè senza l’assistenza estera non riescono nemmeno a pagare le bollette) è chiaro come il vertice politico sia ridotto ad un pupazzo e i numerosi piani per la ricostruzione siano all’insegna esclusiva degli appetiti delle aziende americane.