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Nel voto in India l’ultima protesta dei contadini

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Elezioni Nonostante la probabile vittoria di Narendra Modi, il «nuovo» governo dovrà affrontare la protesta delle immense aree rurali che si battono per un’altra agricoltura

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 30 maggio 2024

Avviate il 19 aprile scorso e ormai alla conclusione con la settima e ultima tornata del 1 giugno, le monumentali elezioni indiane non potranno che riconfermare l’attuale maggioranza di governo a trazione Bjp (acronimo che sta per Partito del popolo indiano) grazie alla popolarità di Narendra Modi. O così assicurano i pronostici. Ma indipendentemente dai risultati, che saranno noti il 4 giugno, una cosa è certa: anche se vincesse questo terzo mandato, grazie a una campagna che ha fatto leva sul peggior suprematismo a matrice induista (la cosiddetta hindutva), anche il «nuovo» governo Modi si ritroverà a (non sapere come) gestire il malessere delle campagne. La protesta del settore agricolo che ha principalmente complicato lo scorso mandato, continuerà ad essere il problema maggiore, e difficilmente risolvibile, anche per il prossimo.

LA «QUESTIONE AGRARIA» non è un problema recente bensì storico per il subcontinente indiano, che già da prima dell’indipendenza dalla corona britannica fu teatro di continue rebellions, particolarmente nelle aree tribali dell’attuale stato del Jharhand. Là, questa storia di rivolte è talmente impressa nella memoria collettiva che l’eroismo di coloro che ne furono leader viene periodicamente celebrato anche oggi. I vari Sidhu e Kanhu, a capo della ribellione Santhal (1855-56), e più ancora il Birsa Munda, alla guida dell’Ulgulan, per le popolazioni indigene, gli adivasi, sono il capitolo inaugurale della lunga marcia per la libertà dal British Raj. In seguito, i vari governi in carica riuscirono a debellare i fermenti di «guerra popolare» mobilitando gli eserciti, invece di affrontare il problema di campagne sempre meno produttive per mancanza di investimenti, e sempre più vulnerabili per l’acutizzarsi della crisi climatica.

SOLO ALCUNI STATI HANNO avuto la lungimiranza di affrontare la questione rurale e agraria con scelte radicali, fra questi il Kerala e anche (fino ai primi anni 2000) il West Bengal, grazie a riforme che già dagli anni 1950 miravano a garantire una più equa distribuzione delle terre e concrete tutele per quella collettività di annadata, i produttori di cibo, dai quali dipende in effetti il benessere di tutti, in termini di sovranità alimentare. Una preoccupazione tutt’altro che banale, che dovrebbe ritenersi anzi di primaria importanza per un subcontinente la cui popolazione non solo ha superato quella della Cina, ma vive per il 65% in aree rurali. Aree da sempre trascurate, non viste, sempre più assediate dalle più diverse urgenze di modernità, sotto forma di estrattivismo (nelle aree tribali del centro india, ricche di risorse minerarie), o faraonici progetti di sviluppo, come per la mega-diga sul fiume Narmada, che ha sommerso, spopolato, reso improduttive più terre di quelle che è riuscita ad irrigare nello Stato del Gujarat – solo per citare casi almeno un po’ noti anche da noi, grazie a scrittori/attivisti come Vandana Shiva, Arundhati Roy, Sainath… Ma molti altri casi non sono noti a livello internazionale e trovano sempre meno spazio anche sui media indiani. Come le tante aree rovinate dalle monocolture, spacciate per redditizie, ma in realtà dipendenti da troppi e ulteriormente onerosi fattori: fertilizzanti, pesticidi e altri input insostenibili.

RISULTATO: FUGA DALLE CAMPAGNE, riduzione del prodotto agricolo, decine di migliaia di suicidi per debiti soprattutto in Maharashtra e in Punjab. E la crescente incertezza derivante dai fattori climatici. Proprio in questi giorni, in alcune zone dell’India la temperatura ha superato i 50°C.

ALLA VIGILIA DELLE ELEZIONI DEL 2014, Narendra Modi aveva promesso a livello centrale un raddoppio di entrate per quel settore contadino da sempre soggetto a politiche diverse a seconda degli Stati: «E’ arrivato il momento di una politica all’altezza delle sfide di una grande nazione». Promessa clamorosamente non mantenuta durante il primo mandato, rinnovata con ancor più enfasi per le elezioni del 2019: entro l’anno 2022, per il 75imo anniversario dell’Indipendenza, anche l’India rurale avrebbe festeggiato…

FINE MARZO 2020: CON IL LOCKDOWN che nel giro di 24 ore decreta la serrata di ogni genere di attività, ecco l’esodo dalle città di legioni di poverissimi costretti a rientrare nelle misere campagne da cui erano migrati. Ma solo pochi mesi dopo quei traumatici eventi e ignorando le previste consultazioni con i governi statali, il governo centrale impone tre Farm Bills, leggi spacciate per opportunità di transizione verso una dimensione imprenditoriale dell’agricoltura alla portata anche dei piccoli produttori, in condizioni di libera contrattazione. Le tre leggi in realtà consegnavano l’intero settore nelle mani dell’agrobusiness.

DOPO LE PRIME PROTESTE LOCALI soprattutto in Punjab, ecco compattarsi da fine novembre 2020 e per oltre un anno quell’epica, pacifica protesta che dai vari presidi intorno a Delhi ha poi coinvolto i movimenti contadini storici del resto dell’India, ottenendo alla fine non solo l’abrogazione delle tre contestate leggi (un’indubbia vittoria), ma un impegno da parte del governo a negoziare precise garanzie: prezzi minimi garantiti, indennità in caso di eventi avversi, pensioni, salari. Ma il negoziato non è mai neppure cominciato.

COSÌ, NON È MAI FINITA LA PROTESTA dei contadini. Anzi, con varie intensità, è ripresa in diverse aree rurali dell’India man mano che ci si avvicinava a queste elezioni. In particolare nel mese di febbraio si è rinnovata la chiamata del Dilli Chalo, Tutti a Delhi, che aveva inaugurato la mobilitazione del 2020/2021: di nuovo i trattori dagli Stati dell’Haryana e del Punjab determinati a raggiungere la capitale, questa volta però fermati da una repressione ben più brutale, con lacrimogeni sparati direttamente dai droni, di produzione israeliana. Oltre alle bastonate di rito. Oltre ai chiodi per impedire l’avanzata dei veicoli. Oltre alla stampa pro-Modi che ha fatto di tutto per minimizzare, ma non ha potuto fare a meno di registrare in queste proteste e violenti scontri, l’elemento di maggiore incertezza, rispetto a quella vittoria così data per scontata.

NON SARANNO I CONTADINI INDIANI a impedire la vittoria di Modi, ma potrebbero renderla meno schiacciante e plebiscitaria di quel che la propaganda avrebbe voluto. O cercherà di far credere.

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