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Missili russi sventrano un istituto militare a Poltava, già 51 morti

Missili russi sventrano un istituto militare a Poltava, già 51 mortiL’attacco russo a Poltava

Fronte orientale Governo in difficoltà, si dimettono quattro ministri e altri alti dirigenti Tra loro anche Kamyshin, l’addetto alla produzione bellica di Zelensky

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 4 settembre 2024

Le minacce russe degli ultimi giorni sembrano andare a segno con rinnovata intensità. Ieri mattina una delle stragi più letali dall’inizio del conflitto: a Poltava, nell’Ucraina centro-orientale a circa 150 chilometri da Charkiv, due missili balistici hanno colpito l’Istituto Militare di Telecomunicazioni e Informatizzazione, dove era presente del personale militare (secondo alcuni media e blogger ucraini, cadetti riuniti per una cerimonia oppure reclute in via di addestramento), e un ospedale che si trovava nelle vicinanze.

Sono 51 i morti e circa 220 i feriti, un bilancio destinato a crescere mentre si scava ancora fra le macerie. La velocità con cui sono stati raggiunti i bersagli, circa due minuti dopo l’inizio dell’allarme aereo, non ha lasciato scampo. Il presidente Zelensky ha annunciato l’avvio di un’indagine per chiarire le dinamiche dell’accaduto, promettendo inoltre che «la feccia russa» pagherà per le proprie azioni. Nella città teatro della carneficina, sono stati annunciati tre giorni di lutto.

ANCHE A ZAPORIZHZHIA, nella serata di lunedì, un altro attacco da parte di Mosca si è abbattuto su un edificio causando due vittime civili (tra cui un minore di otto anni) – riferisce il capo dell’amministrazione militare locale. L’azienda di stato per la gestione dell’energia nucleare Energoatom scrive sul proprio sito che è stata danneggiata una delle due linee di rifornimento di elettricità alla centrale sotto occupazione russa, mettendo così a rischio il funzionamento del sistema di raffreddamento dei reattori. Il tutto mentre il direttore generale dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica-Aiea Rafael Grossi si trova in missione proprio per controllare le condizioni della struttura di Zaporizhzhia: nella giornata di ieri si è riunito con le parti ucraine per ricevere aggiornamenti.

IL MINISTERO della difesa russo ha annunciato inoltre che una colonna di militari e soldati ucraini è stata abbattuta nella regione di Kursk, dove è in corso un’incursione da parte di Kiev da oltre tre settimane. Insomma, il Cremlino mostra i muscoli e – sebbene nel frattempo sia impegnato a respingere sul proprio territorio sciami di droni che di tanto in tanto vanno a segno su raffinerie e siti militari – nell’ultima settimana ha intensificato la propria campagna missilistica sull’Ucraina, bucando le difese avversarie in ripetute occasioni, oltre a proseguire l’avanzata nel Donbass, verso Pokrovsk.

CHE IL RIMPASTO imminente nelle fila politiche ucraine siano una conseguenza della situazione sfavorevole sul terreno di battaglia? Ieri infatti ben quattro ministri hanno rassegnato le proprie dimissioni: Denys Maliuska (giustizia), Ruslan Strilets (ambiente), Olha Stefanishyna (integrazione euroatlantica) ma soprattutto Oleksandr Kamyshin – ex-amministratore delegato delle ferrovie promosso a ministro delle industrie strategiche durante l’invasione, figura importante nello sviluppo della produzione nazionale di droni e nel procacciamento degli armamenti a livello internazionale. Si aggiungono anche il capo del fondo statale per la proprietà, Vitalii Koval, e il dirigente dell’operatore statale dell’energia elettrica Ukrenergo, Volodymyr Kudrytskyi (il quale ha peraltro dichiarato che si tratta di decisioni di “natura politica”). La notizia è stata resa nota dopo la strage di Poltava e le tempistiche potrebbero far pensare a una crisi in corso nei vertici ucraini.

D’altra parte, potremmo anche essere di fronte a mosse che preludono per alcuni all’assegnazione di altri incarichi: sempre ieri è stato rimosso il capo dell’ufficio presidenziale Rostislav Shurma (su cui pendevano accuse di corruzione) e si vocifera della possibilità che sia proprio Kamyshin a prendere il suo posto.

QUASI A SUGGELLARE l’infilata di segnali positivi, Putin è infine ripartito dalla Mongolia dove si trovava in barba al diritto internazionale che ne avrebbe teoricamente imposto l’arresto per via del mandato di cattura del tribunale dell’Aia. È però un mezzo successo diplomatico: Ulan Bator ha infatti detto che non ha potuto far nulla per via «della dipendenza energetica e della politica di neutralità del paese». Amici sì, ma di comodo.

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