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Meloni piega la Lega, ma Solinas resiste

Meloni piega la Lega, ma Solinas resisteChristian Solinas – Ansa

Sardegna Salvini non se la sente di forzare, il Partito sardo d’Azione ci prova: «Non esiste alcuna altra candidatura condivisa dalla coalizione»

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 13 gennaio 2024

Christian Solinas, a sorpresa, non si ritira. La direzione del Partito sardo d’Azione si conclude con uno scarno comunicato che «conferma la posizione emersa nei giorni scorsi» secondo cui «non è politicamente sostenibile il disconoscimento» dell’esperienza di governo del presidente uscente, Solinas. È un colpo di scena inatteso e che probabilmente, ma a questo punto di certezze non ce ne possono essere, maschera la trattativa con FdI per ottenere un maggior numero di posti e assessorati. Sino all’ultimo il governatore uscente sembrava sul punto di gettare la spugna, in particolare dopo una telefonata di Matteo Salvini, ormai favorevole al passo indietro. L’alternativa, infatti, è portare la sfida alle estreme conseguenze, alla spaccatura della maggioranza e alle candidature contrapposte. L’opzione di un passo indietro di FdI con il ritiro della candidatura Paolo Truzzu è ormai inesistente.

È L’INTERO QUADRO a sfavore di Salvini. Le quotazioni di Solinas erano già in forte ribasso: con un altro candidato di destra in campo precipiterebbero ancora di più. La Lega fatica persino a riempire le liste: l’ipotesi di una sconfitta clamorosa e cocente, di molte lunghezze, non è peregrina. Il danno arrecato a Truzzu, con la sinistra che salvo sorprese dell’ultimo minuto arriverà invece davvero con due candidati, rischia oltretutto di essere molto limitato. La doppia candidatura a sinistra è ormai quasi una certezza. Ieri la candidata M5S-Pd Alessandra Todde ha lanciato l’ennesimo appello a Renato Soru perché «rientri nel centrosinistra» solo per sentirsi rispondere ancora una volta con la richiesta irricevibile del ritiro di entrambi i nomi a due giorni dalla presentazione delle liste.

A sconsigliare la ritirata ieri è stata probabilmente anche la consapavolezza che Giorgia Meloni non ha in realtà ancora deciso se onorare lo “scambio” a cui era arrivato giovedì il vertice dei leader di maggioranza. In concreto non è affatto detto che sia pronta ad accettare il terzo mandato per i governatori, sacrificando così il sogno di sottrarre il Veneto al Carroccio, e a varare la modifica con un decreto o con un emendamento al decreto sull’Election Day, che già dovrebbe innalzare a tre i mandati per i sindaci dei comuni con oltre 15mila abitanti.

A ESPRIMERSI IN MATERIA, ieri, è stato solo il forzista Antonio Tajani, col pollice verso: «Non sono granché d’accordo con il terzo mandato ma deciderà il parlamento». Non si tratta di un’opposizione strenua ma implicitamente, con il richiamo al parlamento, il leader azzurro cerca di affossare proprio la via del decreto. Sullo stesso punto sarebbero concentrate le resistenze delle presidente del consiglio: nessuna modifica delle regole prima delle elezioni europee. È proprio quello che il leader della Lega vuole evitare perché sa benissimo che dopo il voto del 9 giugno, nella probabile ipotesi che gli elettori registrino rapporti di forza ancora più sbilanciati a favore di FdI, la premier punterebbe i piedi sul terzo mandato ancor più di oggi.

Anche l’ipotesi di una candidatura Meloni alle europee è ancora in ballo: le rilevazioni confermano che la sua presenza darebbe una ulteriore e robusta spinta al partito tricolore. Molto dipende da cosa farà Elly Schlein. Nel Pd le pressioni perché eviti di candidarsi sono assembleari e al coro si è unito ieri Romano Prodi, secondo cui chi si candida per l’Europa poi in Europa deve andare davvero. Senza la segretaria del Partito democratico in lista, ma anche senza Conte, Salvini e Tajani, non potrebbe candidarsi senza fare una pessima figura e dovrebbe comunque rinunciare anche indipendentemente dall’opportunità di non umiliare gli alleati. Con Elly Schlein in campo la prospettiva sarebbe rovesciata.

LA DECISIONE FINALE spetterà a una premier che si sente forte abbastanza per poter imporre alla sua coalizione ciò che vuole. Ma umiliare Matteo Salvini con un diktat imperioso e brutale, senza concedere nessuna vera e corposa contropartita, vorrebbe dire preparare il terreno per guai futuri. E potrebbe voler dire davvero arrivare a una rottura politicamente devastante già ora.

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