La differenza tra il nostro sistema, «ispirato ai valori europei», e il loro sistema, quello ungherese, che in tutta evidenza si ispira ad altro, «e questa disparità colpisce la nostra opinione pubblica». Ma anche la sottolineatura del fatto di non avere «ampie possibilità» sul piano operativo, perché quelle le ha il governo.

SERGIO MATTARELLA ieri mattina ha chiamato Roberto Salis, il papà di Ilaria, l’antifascista prigioniera da tredici mesi a Budapest perché accusata di aver aggredito dei neonazisti nei giorni in cui celebravano indisturbati l’eroismo delle SS durante la Seconda guerra mondiale. Quanto filtra dal Quirinale è da leggere, tra le altre cose, come una presa di posizione da parte del presidente. E questa posizione ha un suo preciso significato politico. L’aver detto in sostanza che il sistema ungherese non somiglia a quello europeo non è una frase messa lì per caso, tanto più alla vigilia del voto per il rinnovo dell’europarlamento. Non sfugge, inoltre, che i Conservatori guidati da Giorgia Meloni hanno appena poche settimane fa imbarcato Viktor Orbàn, ovvero il presidente di un paese che il Colle non pensa si rifaccia ai «valori europei». La «disparità di trattamento» pure evocata da Mattarella è riferita al caso di Gabriele Marchesi, il giovane antifascista che giovedì ha visto riconosciute le proprie ragioni davanti alla Corte d’Appello di Milano: l’Ungheria voleva la sua consegna per processarlo per gli stessi reati di Ilaria Salis, e i giudici non solo hanno detto no, ma hanno anche disposto la sua immediata liberazione dopo quasi cinque mesi di arresti domiciliari, parlando dei rischi di «trattamenti degradanti» (leggi: tortura) nel paese di Orbàn, dei pregiudizi che gli investigatori di Budapest sembrano mostrare nei suoi confronti e, soprattutto, dello sbilanciamento tra i fatti contestati (che in Italia definiremmo lesioni lievi o lievissime) e la pena prospettata: oltre 20 anni di condanna. Come dire: un paese europeo si comporta così, mentre altrove c’è l’altrove.

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DISCORSO a parte meritano le «possibilità operative», che ovviamente il Quirinale non ha, ma di cui l’esecutivo dovrebbe farsi carico. Sin qui la premier Meloni ha solo rilasciato dichiarazioni generiche sulla situazione di Ilaria Salis, non mostrando grande empatia nemmeno quando le immagini della 39enne italiana che entra in tribunale in catene e al guinzaglio hanno fatto il giro del mondo, suscitando reazioni di pena e raccapriccio. La partita, per così dire, diplomatica è stata gestita in via quasi esclusiva dal vicepremier Antonio Tajani e dal ministro della Giustizia Carlo Nordio: sono stati loro a suggerire alla famiglia Salis di fare richiesta per gli arresti domiciliari a Budapest (non in Italia né all’ambasciata, come era stato chiesto dagli avvocati). Questa linea si è infranta, sempre giovedì, contro il muro del giudice Jozsef Sòs, che ha respinto l’istanza senza colpo ferire, smontando di fatto i (veri o presunti) sforzi diplomatici italiani. La prossima udienza del processo a Ilaria Salis, che rischia fino a 24 anni di prigione nonostante le sue presunte vittime abbiano avuto prognosi di pochissimi giorni, è fissata al 24 maggio, ma le speranze che qualcosa cambi sono ridotte a un lumicino.

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A DISASTRO AVVENUTO, poi, Nordio non ha trovato di meglio da fare che prendersela con la famiglia, lamentando il ritardo con cui la richiesta di domiciliari è stata presentata e sostenendo che l’eccessivo clamore mediatico abbia in realtà danneggiato Ilaria Salis. Posizioni lunari alla luce dei fatti: la giustizia ungherese tratta in maniera ruvida l’antifascista perché il governo italiano non ha alzato a sufficienza la voce. Anzi è stato in silenzio per mesi e poi, quando il caso è esploso e non è stato più possibile ignorarlo, quasi ha chiesto scusa a Orbàn per il disturbo recato dall’incauta connazionale. Roberto Salis, che continua la sua battaglia quasi solitaria tra interviste, post sui social e fiumi di dichiarazioni quotidiane, si è detto piacevolmente colpito dalla celerità della risposta del Quirinale alla sua lettera, inviata nella giornata di venerdì, e ha espresso anche apprezzamento per la vicinanza e la comprensione dimostrate al telefono da Mattarella.

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COMPRENSIONE e vicinanza che invece il governo non sembra avere più di tanto. L’invito a «non politicizzare la vicenda» e a lasciar lavorare nel silenzio «la diplomazia e gli avvocati» è un refrain che giornalmente qualche parlamentare si incarica di dettare alle agenzie, ma il punto è esattamente il contrario: il processo a Ilaria Salis è un processo politico, e solo con gli strumenti della politica si può risolvere. Mattarella, parlando in maniera esplicita delle differenze tra il sistema europeo e quello ungherse, fa sua questa evidenza. Forse nella speranza che almeno il suo sasso riesca a smuovere di un po’ lo stagno del governo.