L’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa è «atroce», «dalla trincea della difesa dei diritti umani e dei popoli non si può arretrare» e certamente «nessuna incertezza è possibile» così come la solidarietà con il popolo ucraino dev’essere «ferma e attiva». Eppure di fronte all’evidente avvitamento della guerra e alla sua proclamata espansione – proclamata anche dai paesi solidali con l’Ucraina – il presidente della Repubblica Sergio Mattarella fa un passo in più rispetto alla netta presa di posizione che ha già espresso e ribadito più volte in patria. Nel suo primo viaggio all’estero del secondo mandato arriva a Strasburgo per parlare all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (e poi rispondere per quasi un’ora alle domande dei parlamentari). E disegna un percorso per uscire dall’incubo di una terza guerra mondiale.

La premessa è l’appello al governo della Federazione russa «perché sappia fermarsi, ritirare le truppe, contribuire alla ricostruzione di una terra che ha devastato». Ma il compito che il presidente della Repubblica italiana vede per gli alleati occidentali non è quello di alzare il livello dello scontro bellico. Al contrario «alla comunità internazionale tocca un compito: ottenere il cessate il fuoco e ripartire con la costruzione di un quadro internazionale rispettoso e condiviso che conduca alla pace».

Per quanto «la voce delle Nazioni unite» si apparsa «chiara nella denuncia e nella condanna» ma purtroppo «inefficace sul terreno», per il capo dello Stato «questo significa che la loro azione va rafforzata, non indebolita». Perché la via d’uscita dalla guerra «appare, senza tema di smentita, soltanto quella della cooperazione e del ricorso alle istituzioni multilaterali». Prima di arrivare alla sua proposta, il presidente della Repubblica insiste sulla gravità dei rischi che il mondo ha di fronte: «La guerra è un mostro vorace, mai sazio. La tentazione di moltiplicare i conflitti è sullo sfondo dell’avventura bellicista intrapresa da Mosca. Dobbiamo saper scongiurare il pericolo. Dobbiamo saper opporre a tutto questo la decisa volontà della pace. Diversamente ne saremo travolti».

Per Mattarella a questo punto «si tratta di affermare con forza il rifiuto di una politica basata su sfere di influenza, sui diritti affievoliti di alcuni popoli», atteggiamento che oltretutto «in un mondo sempre più interconnesso» apparirebbe «anacronistico». La via d’uscita passa invece per «una sede internazionale che rinnovi radici alla pace, che restituisca dignità a un quadro di sicurezza sull’esempio di quella conferenza di Helsinki che portò nel 1975 a un atto finale foriero di sviluppi positivi». Il riferimento è a quel grande sforzo diplomatico (durato in realtà due anni, e concluso nella capitale finlandese dove l’Italia fu rappresentata da Aldo Moro) che portò tutta l’Europa, la Turchia, gli Usa, l’Urss e il Canada a impegnarsi per il riconoscimento dell’integrità territoriale degli stati e a non ricorrere alla minaccia o all’uso della forza. Quando la guerra fredda cominciò e fare un po’ meno paura.

Mattarella torna a quegli anni, come per un paradosso, la guerra fredda e comunque meglio di quella combattuta: «Prendiamo a prestito quel linguaggio e compitiamo insieme parole che credevamo cadute in disuso. Distensione: per interrompere le ostilità. Ripudio della guerra: per tornare allo status quo ante. Consistenza pacifica, tra i popoli e tra gli Stati. Democrazia, come condizione per il rispetto della dignità di ciascuno».

«La sicurezza e la pace – conclude il capo dello Stato parlando a Strasburgo – non possono essere affidate ai rapporti bilaterali, Mosca versus Kiiv. Tanto più se questo avviene tra diseguali, tra grandi Stati e Stati più piccoli. Garantire la sicurezza e la pace è responsabilità dell’intera comunità internazionale. Questa, tutta intera, può e deve essere la garante di una nuova pace». In definitiva – come avevamo scritto anche su queste pagine – «Helsinki e non Yalta. Dialogo e non prove di forza tra grandi potenze che devono comprendere di essere sempre meno tali». Tutte.