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Mare Jonio, indagato il comandante e nave sequestrata

Mare Jonio, indagato il comandante e nave sequestrataLa Mare Jonio ferma al porto di Lampedusa

È andata in porto Contestato il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e rifiuto dell’obbedienza a nave militare per non aver spento i motori come chiesto dalla Finanza. Per almeno una decina di giorni la nave resterà ferma. «È il loro vero obiettivo», accusa il capo missione di Mediterranea Luca Casarini

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 21 marzo 2019

Con i migranti portati nel centro di accoglienza in attesa di capire quale sarà il loro destino, la partita si sposta tutta sul piano giudiziario. Da un lato Mediterranea, dall’altro la guardia di finanza delegata dalla Procura a indagare sul salvataggio avvenuto al largo della Libia e poi perfezionato con l’approdo di nave Jonio a Lampedusa.

La lunga giornata di passione, vissuta in attesa degli interrogatori, si è aperta con il sequestro dell’imbarcazione ma soprattutto con l’iscrizione nel registro degli indagati del comandante della Jonio, Pietro Marrone. Gli contestano il favoreggiamento all’immigrazione clandestina per avere soccorso i 50 migranti al largo della Libia e, a sorpresa, anche il rifiuto di obbedienza a nave militare, previsto dal codice della navigazione, per non avere spento i motori come avevano chiesto i finanzieri quando con i pattugliatori hanno affiancato la Jonio in navigazione verso il porto di Lampedusa.

 

Il comandante della Mare Jonio, Pietro Marrone

 

Sull’isola arrivano gli avvocati Fabio Lanfranca e Serena Romano, legali del comandante che viene nuovamente convocato nel comando Brigata della Gdf per l’interrogatorio; questa volta alla presenza dei magistrati arrivati da Agrigento, l’aggiunto Salvatore Vella e la pm Cecilia Baravelli, titolari dell’inchiesta aperta dalla Procura, diretta da Luigi Patronaggio, che intanto convalida il sequestro probatorio, perché «serve ad accertare i fatti». Prima di entrare in caserma, dove rimarrà per quasi cinque ore, il comandante Marrone si difende: «Sono tranquillo, ho fatto il mio dovere. Avrei dovuto lasciarli morire? Rifarei tutto per salvare le persone».

Anche i legali si mostrano fiduciosi. «Non conoscendo gli atti stiamo ricostruendo i fatti – aggiunge l’avvocato Lanfranca – Il comandante si è comportato in modo estremamente corretto, ha salvato vite umane, il favoreggiamento a mio giudizio non sta né in cielo né in terra». E annuncia che «il sequestro sarà impugnato».

Per almeno una decina di giorni, però, la nave rimarrà ferma in porto. «E’ il loro vero obiettivo», attacca Luca Casarini, capo missione della Jonio. Per l’armatore «il sequestro della nave è illegittimo». «Il comandante ha agito nella totale legalità e nel rispetto del diritto internazionale – sostiene Beppe Caccia – Abbiamo fornito ai magistrati ogni elemento a nostra disposizione tra cui mail e filmati. Non siamo noi che ci nascondiamo dietro all’immunità e allo scudo parlamentare per evitare il processo per sequestro di persona, anzi siamo convinti che l’inchiesta della magistratura faccia chiarezza. Presto la nave Jonio sarà libera, torneremo in mare a salvare vite umane». Oltre al comandante, sono stati sentiti anche il primo ufficiale e due ospiti della Jonio: un video-maker e il cronista di La Repubblica, Giorgio Ruta, ai quali i finanzieri hanno chiesto i filmati girati nel momento del salvataggio in mare. Agenti della mobile di Agrigento, invece, hanno cominciato a raccogliere le testimonianze dei migranti che si trovano nel centro di accoglienza di contrada Imbriacola. Si tratta di 35 uomini e 15 minori non accompagnati.

La maggior parte proviene dalla Guinea (17, di cui 9 minori); quattordici arrivano dal Senegal (due i minori), nove dalla Nigeria, sette dal Gambia (tra cui due minori), due dal Camerun tra cui un minore e uno dal Benin. Giunti nel centro sono stati rifocillati, alcuni hanno pregato. Agli operatori hanno raccontato storie di violenze e torture; uno di loro ha riferito di avere attraversato con i barconi il Canale di Sicilia ben cinque volte e ogni volta è stato rispedito in Libia e ha mostrato i segni sul corpo per i maltrattamenti subiti nei campi libici. «Pensare che la Libia sia un porto sicuro e riconosciuto dall’Italia e dall’Ue è un’ipocrisia» afferma il medico Pietro Bartolo, che ha verificato le condizioni di salute dei migranti. «Abbiamo visto come la Guardia costiera libica tratta queste persone quando le ricupera – aggiunge il medico – Una parte li lascia in mare, una parte li scuote in mare come se fossero cimici e poi li picchia quando li mette a bordo. Questo non è rispettoso dei diritti umani».

Per Bartolo i migranti «vogliono solo sopravvivere e noi glielo dobbiamo permettere, il Mediterraneo deve tornare ad essere mare di vita non un cimitero». Non si sa quando i 50 naufraghi potranno lasciare il centro.

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