Con l’Ucraina immersa in una sanguinosa guerra di attrito a un anno dall’invasione russa, per la prima volta da molto tempo la diplomazia in queste ore discute, a distanza e con toni assai diversi, di una pax cinese e di un pax occidentale a trazione Usa e Nato. In maniera magari non ancora così marcata, si fa comunque strada, la domanda chiave: come si esce da questo conflitto il cui esito definirà il mondo di domani? La via uscita forse c’è – anche se assai complicata e perennemente minacciata dalle mosse di Puti.

E questo per evitare che una guerra di logoramento imbocchi una escalation allargata (Moldavia), oppure si trasformi in un conflitto cronico in mezzo all’Europa che, oltre a fare ancora migliaia di vittime, rischia con la politica di Biden di dividere i nove Paesi orientali dall’Europa dei fondatori. Una strategia che secondo l’ex premier ed ex presidente della Commissione Ue Romano Prodi «potrebbe comportare presto scelte drammatiche anche per il nostro governo».

Il piano cinese, che non condanna mai esplicitamente la Russia di Putin, sembra sia stato bocciato dagli americani oltre che dal G-7; uno scetticismo occidentale alimentato anche dall’astensione cinese (oltre che indiana) sulla risoluzione Onu di giovedì notte, approvata con 141 voti, che chiede la fine delle ostilità e il ritiro di Mosca. Una posizione ambigua quella di Pechino confermata ieri al G-20 quando la Cina (con la Russia) ha bloccato il comunicato ufficiale in cui si condanna Mosca per l’aggressione.

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In un anno di guerra, Pechino non mai preso una posizione diretta contro l’invasione dell’Ucraina e non l’ha mai neppure definita un’invasione. Il piano inoltre arriva dopo il viaggio a Mosca di Wang Yi, ministro per gli affari esteri, dove ha definito le relazioni con Putin «solide come una roccia», alimentate, aggiungiamo, delle manovre militari congiunte e dal fatto che la Cina è il maggiore mercato di sbocco (seguito da quello indiano e turco) del gas russo.

Abbiamo due potenze che vogliono rimettere in discussione il predominio occidentale e questa guerra ha rivelato che buona parte del mondo condivide questo obiettivo. In realtà l’impressione della bocciatura senza appello del piano cinese è stata dettata soprattutto dalle dichiarazioni di Biden: «Se piace a Putin non può essere buono». E da quelle degli stessi vertici ucraini – ma lo stesso Zelenski aveva dichiarato di volere incontrare Xi Jinpig – che lo hanno bollato come «vantaggioso solo per i russi».

La diffidenza Usa verso Pechino, alimentata dalla «crisi dei palloni», è sfociata in un aspro confronto a Monaco tra il segretario di Stato Usa Blinken e il suo omologo cinese Wang Yi; e si è acuita anche per le indiscrezioni dell’intelligence americana secondo le quali la Cina sta valutando la possibilità di consegnare artiglieria e droni a Mosca. Se Pechino dovesse farlogli Usa «risponderanno» ha detto Biden, anche se ha subito aggiunto di non «prevedere che la Cina lo faccia».

In sintesi la Cina chiede un cessate il fuoco, negoziati di pace e la revoca delle sanzioni contro la Russia. Contro le sanzioni, Pechino fa un accenno ad altri Paesi che hanno abusato dello strumento e dovrebbero darci invece intraprendendere su questo la via della de-escalation. Si parla anche di sovranità di tutti i Paesi da salvaguardare, non si fa cenno agli eventuali confini dell’Ucraina, al Donbass (annesso in settembre della Russia) né alla Crimea (annessa dalla Mosca nel 2014). Chiare la stoccata alla Nato – con la condannata della «mentalità da guerra fredda» – ma chiaro anche l’invito a non usare armi nucleari.

Per ora l’unico ad accogliere con favore l’impegno di Pechino per la pace è stato Macron, che ha affermato che è una «buona cosa», annunciando che andrà in Cina ad aprile per chiedere l’aiuto di Pechino a porre fine alla guerra. Con il piano cinese si stanno comunque facendo strada ipotesi di un negoziato occidentale non necessariamente in contrasto con l’iniziativa di Pechino.

Secondo il Wall Street Journal, Gran Bretagna, Germania e Francia stanno lavorando a un piano che riguarda l’«architettura di sicurezza» post-bellica: la proposta, che il premier britannico Sunak vorrebbe portare al summit Nato di luglio, appoggiata da Macron e Scholz, consiste in legami più stretti tra l’Alleanza e l’Ucraina e in un accesso stabile e integrato alle armi avanzate occidentali. Insomma un partnership privilegiata senza diventare membro della Nato. I tre leader vedono in questo piano un modo per incoraggiare Kiev ad avviare negoziati con Mosca anche se le truppe russe occupano ancora i territori ucraini.

Allo stesso tempo si lancia a Putin il monito che la Nato è coinvolta nel lungo periodo. Rivela, sempre secondo il Wsj, anche i dubbi di alcuni Paesi europei sulla possibilità che Kiev riconquisti completamente Crimea e Donbass e l’idea che l’occidente potrà appoggiare lo sforzo bellico per un tempo limitato. Ed è più meno quanto pensa il capo di stato maggiore Usa, il generale Mark Milley, che in un’intervista del 17 febbraio al Financial Times ha ripetuto: «Sarà impossibile per i russi conquistare l’Ucraina, e molto, molto difficile che Kiev riesca a cacciare Putin dai suoi territori».

Non c’è pace senza rispetto della giustizia , cui hanno sicuramente diritto gli ucraini massacrati da Putin e dalla sua cricca, ma per arrivarci servirà quasi sicuramente un compromesso.