Se il ’68 al cinema assume la forma della profezia, per quello cecoslovacco significa la fine, è scoppiato molto tempo prima. I fiancheggiatori dell’invasione russa, i dirigenti del partito, ne bandirono infatti «per sempre» alcuni film che dileggiavano il potere, strigliavano il conformismo, mostravano senza parole lo stato delle cose con la leggerezza sublime della genialità. Schorm, Menzel, Chytilova, Jires, Forman, Passer, Nemec erono i nomi diventati famosi anche all’estero della nova vlna, la nuova onda cecoslovacca.

In particolare Nemec era diventato celebre per Diamanti nella notte (’64) fuga di due ragazzi ebrei alla ricerca di un pezzo di pane, film di profonda introspezione e per La festa e gli invitati (’66) dove si contrapponevano tra i protagonisti celebri dissidenti come il cugino Jiri firmatario di Charta 77, il regista Schorm, lo scrittore Skvorecky contrapposti alla parata dei burocrati di partito («parabola su persone che si mettono la catena al collo pur di sedere al tavolo dei potenti» diceva). Sarà uno dei film «banditi per sempre» dal governo.

Il festival di Trieste per celebrarne i cinquant’anni del ’68 dedica all’anniversario un’intera sezione tra ovest (a cura di Roberto Silvestri e Mariuccia Ciotta) ed est e al ’68 cecoslovacco in particolare è in programma il famoso film di Jan Nemec realizzato quell’anno: Oratorio per Praga. Il ’68 a Praga è la fine. Già tutto è stato fatto, i giovani registi erano già famosi all’estero, trasgressione e stile passeranno i confini a influenzare altre nouvelle vagues. Nel ’68, a Praga entrano i carri armati. Quel film è come un punto finale, per i decenni successivi cala una cappa di gelo su tutta una generazione di cineasti.

Ma non si sentono i tank all’inizio del film, un andamento da documentario turistico potrebbe ingannare lo spettatore con la sua leggerezza tra guglie di cattedrali e danze folcloristiche, non fosse per quella frase gettata come un amo all’inizio: «Nel 1967 la Cecoslovacchia era un paese libero» seguito da tutte le precisazioni storiche ed economiche.

Le bobine del girato, unico documento dell’invasione di Praga, arrivato rocambolescamente all’estero è stato poi montato con la musica jazz di Ladislav Staidl (che dal 67 era a Las Vegas) e la voce fuori campo di Gene Moskowitz (attore del Bronx). Musica e voce non fanno da accompagnamento, ma hanno una funzione di allarme, il film procede in un crescendo: una prima parte in cui si esplorano i caratteri nazionali, costumi e tradizioni, i magnifici luoghi, la pacifica vita dei piccoli paesi proprio come nei romanzi di Hrabal, la gioventù esattamente uguale a quella delle altre città europee sulle piste da ballo, nelle feste sui prati. Ma non si manca di avvertire come l’economia del paese sia pilotata da Mosca e costretta da vincoli insormontabili.

Il crescendo di euforica vitalità primaverile si spezza a un certo punto con l’ingresso dei carri armati, su cui qualcuno riesce a disegnare una svastica, le manifestazioni che si susseguono, i carri in fiamme. Per la seconda volta in un secolo, si dice, Praga difende la sua libertà.

Il governo Dubcek aveva avviato un programma di riforma per riportare un certo livello di democrazia politica e una maggiore libertà personale, possibilità per gli agricoltori di organizzarsi in cooperative indipendenti, la libertà di stampa e di parola, la possibilità di formare organizzazioni politiche e sociali. Si sente ripetere nel film a più riprese lo slogan «Dubcek! Svoboda!» (Dubcek! libertà!) scandito nelle manifestazioni studentesche.

750 mila militari delle truppe del patto di Varsavia e duemila tanks convergono a Praga in quell’agosto. Jiri Menzel che aveva già vinto l’Oscar a neanche trent’anni con Treni strettamente sorvegliai e a cui fu impedito di lavorare per più di vent’anni, anche lui «bandito per sempre», sarà presente come attore e come chiaro riferimento nel caustico Fraises anglaises di Jacek Glomb (2009) dove uno di questi carri armati polacchi arrivato al confine si perde, non trova la strada per Praga e non sarà mai più ritrovato.
«Ho ripreso, diceva, quello che succedeva in piazza Venceslao, davanti alla sede del partito comunista, sui ponti attraversati dai tanks, ma soprattutto carri armati russi, vetture in fiamme, scariche di mitra, morti. Sono quattro bobine che seguono l’ordine cronologico degli avvenimenti, senza montaggio».

E uomini, donne e studenti che invitano i soldati a tornarsene da dove sono venuti. Il regista riuscirà a inviare le bobine a Vienna grazie a un italiano e a Jana, un’attrice ceca.

Oratorio per Praga sarà presentato a New York a settembre dove arriverà in esilio dopo la Germania anche Nemec (all’ovest si trovano già Forman e Passer).

Il racconto del rocambolesco salvataggio della pellicola sarà il soggetto del suo film Holka Ferrari Dino (2009) e quando Philip Kaufman girerà L’insostenibile leggerezza dell’essere dal romanzo di Kundera, poiché gli fu impedito di girarlo in Cecoslovacchia, fu Nemec a dargli le indicazioni per le riprese (e lo si può anche intravedere in alcune scene).

Oratorio per Praga che ha girato dappertutto nel mondo con uno straordinario successo fu attaccato duramente dalla Komsomolskaja Pravda di Mosca insieme a tutti i film della generazione della nova vlna. Jan Nemec scrisse a proposito questo caustico e definitivo commento: «Del giudizio del compagno Bolsakov do un giudizio assai positivo. Mi hanno colpito in particolar modo queste frasi: «Il significato di Oratorio per Praga è in una formula estremamente semplice. Si tratta di un blasfemo tentativo di mostrare come non vi sia alcuna differenza tra l’occupazione della Cecoslovacchia da parte della Germania hitleriana e l’ingresso dell’esercito nei paesi dell’esercito dei paesi del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia ad agosto…»