Si è chiuso ieri in Indonesia il decimo World Water Forum (Wwf) co-organizzato da Giacarta e dal World Water Council (Wwc), un’organizzazione internazionale  creata nel 1996 e con sede a Marsiglia. Accanto ai sostenitori istituzionali, i suoi sponsor principali sono privati: da Moya Holdings Asia (Singapore), colosso del trattamento dell’acqua, alla multinazionale francese Danone. Bali aveva vinto la scommessa  quando anche l’Italia, nel 2021,  si era candidata a ospitare il Forum.

Sarebbe forse stato uno dei tanti incontri internazionali su un tema d’attualità – che non sembra però attirare la grande attenzione politica che richiederebbe – se a metterlo sotto i riflettori non fosse stato un episodio denunciato dal Peoples Water Forum (Pwf), una rete internazionale di difesa dell’acqua pubblica. Episodio che, nei giorni del vertice, ha visto intimidazioni, minacce, violenze e persino il sequestro per due giorni in un albergo di Denpasar di una cinquantina di difensori dell’acqua “bene comune e pubblico” cui è stata impedita, sia la libertà di riunione, sia la stessa agibilità fisica che avrebbero potuto infastidire  il Gotha dei fautori dell’acqua “bene privato”.  Terminata fortunatamente bene la vicenda inqualificabile del sequestro degli attivisti con intimidazioni di polizia, militari e squadracce a volto coperto, resta la domanda sul perché un evento su un tema tanto importante sia stato alla fine messo in luce da un episodio tanto violento le cui ombre faticano a dissiparsi. Tanto che è facile immaginare che al prossimo Forum del Wwc si ripeterà lo stesso copione e cioè il silenziatore a chi critica: facile, visto che nel 2027 il forum si terrà a Riad, Arabia saudita. Un Paese non molto avvezzo a consentire libertà di espressione.

Insomma cos’è il World Water Council? E’ un organismo multinazionale cui però i capi di Stato (ce n’erano otto) e di governo non dedicano molta attenzione, lasciando che i protagonisti dei suoi Forum siano, se va bene, qualche ministro (ce n’erano comunque un centinaio) o qualche diplomatico (il nostro ambasciatore per esempio) ma soprattutto le aziende private come l’italiana Acea o la francese Veolia, il colosso multinazionale francese di  servizi tradizionalmente gestiti dal pubblico: energia, rifiuti e, appunto, acqua.

A leggere i comunicati ufficiali, la parola “privato” però non appare mai e gli obiettivi restano fumosi: «Gestione più efficiente e integrata delle risorse idriche – si legge in una dichiarazione del vertice – maggiori finanziamenti per l’adattamento al cambiamento climatico la biodiversità e la perdita di ecosistemi, progressi accelerati verso l’Obiettivo di sviluppo sostenibile 6 sull’acqua potabile e servizi igienico-sanitari sicuri e convenienti per tutti». Chi non sarebbe d’accordo?

Secondo il Wwc (260 organizzazioni membre da 52 Paesi) l’obiettivo dei Forum è «portare uno spirito di comunità attorno a un obiettivo: rendere l’acqua una priorità politica. Per attuare una strategia orientata alla sicurezza idrica e ai servizi igienico-sanitari per tutti». Sul come, i suoi detrattori mettono in guardia. Per il Peoples Water Forum-Pwf (quelli che non hanno potuto riunirsi né partecipare al summit) «questo evento triennale è guidato dalle imprese e riunisce politici, agenzie pubbliche, accademici, organizzazioni selezionate della società civile, istituzioni multilaterali e il settore privato… Presentato come uno spazio di governance idrica multilaterale, il Wwf è dominato dai paesi ricchi, dalle istituzioni finanziarie internazionali  e da alcune delle più grandi multinazionali del mondo… per  fare pressione sui governi affinché privatizzino i sistemi idrici e igienico-sanitari e sviluppino soluzioni basate sul mercato». Il Pwf aggiunge che «la ristrutturazione del settore idrico basata sul mercato aggrava molti dei problemi urgenti che il forum cerca di affrontare con costi per le famiglie e i bilanci pubblici, favorendo invece aziende che l’acqua la inquinano». Vero?

Nel 2010, a 15 anni dalla sua fondazione, l’allora segretaria nazionale dei Verdi Cécile Duflot (poi anche presidente di Oxfam France) aveva bollato il Wwc come «una truffa… quello che si spaccia per forum sull’acqua è un grande mercato dove cerchiamo di contaminare il resto del pianeta con il nostro cosiddetto genio francese. È come se i dirigenti della Nestlé organizzassero un forum sulla fame nel mondo! Facendolo per di più pagare agli enti locali». Per l’ex eurodeputato Emilio Molinari «il Wwc è da sempre una creatura dei colossi francesi Suez Lyonnaise des Eaux e Veolia, della americana Bethel, della brasiliana Sabesp, battistrada della privatizzazione dell’acqua in tutto il Brasile».

La presidenza del Wwc spiega per altro molte cose: a capo del Wwc dal 2005, rieletto nel 2018, è Loïc Fauchon, ex direttore e poi presidente dagli anni Novanta al 2019 della Société des Eaux di Marsiglia (Sem), una società posseduta da Veolia e da Suez Lyonnaise des Eaux. Nel 2013 la capitale della Provenza aveva rinnovato per 15 anni il contratto di distribuzione dell’acqua (valore oltre 2 mld di euro) per coprire Marsiglia e comuni limitrofi. E mentre altrove Veolia non riusciva  a impedire che le città passassero alla gestione pubblica (Parigi nel 2010 per esempio) e mentre ad altri comuni aveva aveva dovuto ribassare i prezzi del 40%, a Marsiglia lo sconto era stato solo  del 10%. Poi però  nel 2017 la decisione favorevole a Veolia (e in parte a Suez), che era già  entrata nel mirino di cittadini e opposizione suscitando un vespaio, era finita anche in mano alla magistratura. C’è un’ombra lunga (e violenta) sull’acqua bene comune.