«Abbiamo bisogno del vostro aiuto, non permettete che ci uccidano». Tre giorni fa è stato diffuso questo messaggio di tre uomini condannati a morte nel carcere di Isfahan, scritto a mano su un pezzo di carta consegnato ai familiari nell’ultimo incontro. Majid Kazemi, Saleh Mirhashemi e Saeed Yaghoubi erano accusati di aver ucciso un agente di polizia e due membri del gruppo paramilitare Basij a Isfahan nel novembre 2022 durante le proteste popolari. Amnesty International afferma che i tre sono stati sottoposti a torture, costretti a confessioni televisive.

SONO PIOVUTE innumerevoli richieste di cittadini e personalità politiche, culturali e artistiche per fermare l’esecuzione. Malgrado il divieto e la repressione delle forze di sicurezza, centinaia di cittadini si sono radunati davanti al carcere Dastgerd di Isfahan accogliendo la richiesta dei familiari dei condannati. In alcune città europee e americane gli iraniani in diaspora hanno protestato contro una sentenza sommaria e chiesto di fermarla.

Non è servito a nulla: la magistratura della Repubblica islamica ha dichiarato che la sentenza è stata eseguita all’alba di venerdì. Così ieri la rivolta è tornata: proteste si sono registrate in alcuni quartieri di Teheran e Isfahan e Karaj.

A settembre 2022 sono scoppiate proteste popolari in seguito alla morte della 22enne Mahsa Amini, fermata per una presunta violazione delle rigide regole sull’abbigliamento femminile della Repubblica islamica. Malcontento generale, anni di repressione sommati a una crisi economica eccezionale hanno rapidamente rivolto le manifestazioni contro l’intero regime teocratico. Il regime ha etichettato le proteste come «rivolte» istigate dall’estero e le ha represse duramente.

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Più di 500 persone sono state uccise nei mesi di protesta, tra cui decine di membri delle forze di sicurezza. Circa 19mila persone sono state arrestate. La pena di morte è stata utilizzata per inoculare la paura tra i manifestanti e mettere fine alle proteste. Sono state giustiziate sette persone in relazione alle proteste, a gennaio due giovani accusati di aver ucciso un membro delle Basij.

LA PENA CAPITALE è largamente utilizzata dalla Repubblica islamica. Almeno 582 persone sono state messe a morte nel 2022, rispetto alle 333 dell’anno precedente. L’ondata di esecuzioni, anche per reati relativi a traffico di droga e vaghe accuse di «inimicizia contro Dio» e «diffusione della corruzione sulla terra», continuano a suscitare le critiche di giuristi e attivisti per i diritti umani in tutto il Paese e nel mondo.

Nei suoi sermoni di preghiera del venerdì Maulvi Abdul Hamid, imam sunnita di Zahedan, riferendosi all’aumento del numero di esecuzioni e alla forte reazione della gente, ha detto: «Una nazione non può essere fermata dalle esecuzioni».

Se le manifestazioni si sono in gran parte placate, negli ultimi mesi continuano atti di sfida di un numero crescente di donne che rifiutano di indossare il velo islamico obbligatorio. L’amministrazione cerca di evitare l’approccio violento del passato che portava al fermo e all’arresto delle ribelli ma ha messo in moto tutti i sui mezzi coercitivi per far sì che le donne tornino a portare il velo, diventato oramai l’unico simbolo islamico dello Stato.

SONO PASSATI quasi due mesi dall’ultimatum del temuto capo della polizia, Ahmad-Reza Radan, che ha intimato alle donne iraniane di tornare a osservare rigorosamente la legge. È stato autorizzato l’uso delle telecamere 3d per il riconoscimento delle ribelli.

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Sono stati chiusi ristoranti, bar, parchi, centri commerciali, negozi, farmacie e luoghi d’attrazione turistiche per la mancata osservanza del velo da parte delle clienti. Uffici pubblici, banche, poste, perfino taxi, non possono offrire il loro servizio alle donne senza velo. Tuttavia moltissime donne continuano a disobbedire e a mostrarsi con il capo scoperto.

La questione del velo delle donne non è l’unica questione che crea confusione e difficoltà tra le file dell’amministrazione del regime. Il governo continua la sua battaglia con una crisi economica che ha portato l’inflazione a segnare numeri record, il 63,9%. Secondo i media statali iraniani, lo scorso anno almeno un milione di studenti ha abbandonato la scuola a causa della povertà. Nel frattempo, secondo fonti ufficiali, nel sistema educativo del Paese mancano almeno 300mila insegnanti.

Sembra che il governo del presidente Raisi covi ancora la speranza di tornare agli accordi sul nucleare per rimuovere le sanzioni che causano lo stritolamento della economia iraniana. Tuttavia, malgrado l’Iran sia tornato a collaborare con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, non sembra che a cinque anni dal ritiro unilaterale americano rimanga qualche speranza di rianimare l’accordo.