Internazionale

L’Iran è ancora ribelle: «Il regime ci ignora, la rabbia si moltiplica»

L’Iran è ancora ribelle: «Il regime ci ignora, la rabbia si moltiplica»La protesta ieri nella città di Zahedan, provincia del Balucistan

Medio Oriente A 40 giorni dalle esecuzioni di due manifestanti, torna la rivolta in tutto il paese: «Avevamo bisogno di tempo per organizzarci, ma tutte le sere abbiamo urlato i nostri slogan. E ieri siamo ritornati in strada. La polizia non se lo aspettava»

Pubblicato più di un anno faEdizione del 18 febbraio 2023

Le manifestazioni antigovernative provocate dalla morte della 22enne Mahsa Amini, a metà settembre 2022, avevano sconvolto l’Iran fino a poche settimane fa. Dopo la forte repressione, 500 vittime, 20mila arresti e l’esecuzione di quattro manifestanti, gli alti funzionari del regime della Repubblica islamica e i media governativi avevano annunciato la vittoria e affermato che i «disturbi» erano stati estinti.

MA IN OCCASIONE dei 40 giorni dall’esecuzione di Mohammad Hosseini e Mohammad Mahdi Karmi, due dei manifestanti giustiziati, le proteste in diverse città iraniane sono nuovamente riprese. Almeno in cinque quartieri di Teheran e nelle città di Karaj, Isfahan, Shiraz, Mashhad, Tabriz, Arak, Qazvin, Malair, Rasht, Hormozgan, Sanandaj, Qorveh , Sarablah , Izeh, Javanrud, Mahabad , Borujerd e Maalolan i manifestanti sono scesi in strada e hanno scandito slogan antigovernativi.

Alcuni video mostrano che gli agenti di polizia hanno distrutto le auto delle persone e sparato proiettili di plastica contro chi protestava. Le strade della città di Shiraz, secondo alcuni attivisti, sono state teatro di scontri e violenze delle forze repressive contro i manifestanti nella mattinata di venerdì. Ci sono stati scontri corpo a corpo in piena notte di giovedì tra i giovani manifestanti e le forze di sicurezza.

MAHMUD VIVE nel quartiere di Ekbatan a Teheran: «Non abbiamo mai smesso di protestare – racconta al manifesto – Abbiamo dovuto rallentare un po’ non solo a causa della repressione e degli innumerevoli arresti ma anche a causa del terremoto a Khoy (sisma che ha colpito la provincia dell’Azarbaijan occidentale iraniano prima di quello in Turchia e Siria del 6 febbraio, ndr) e un eccezionale freddo invernale. Avevamo bisogno di tempo per organizzarci, per assistere le famiglie degli amici arrestati. Ma tutte le sere abbiamo urlato i nostri slogan dalle finestre. E ieri abbiamo ripreso a scendere per strada. Infatti la polizia non se lo aspettava, ci è voluto del tempo prima che arrivasse in forza».

«Siamo arrabbiati – continua Mahmud – In queste settimane il governo non ha fatto altro che vantare le sue conquiste, ha organizzato una manifestazione per approvare la sua legittimità a furia di minacce e intimidazioni come se noi non sapessimo cosa succede davvero nelle nostre città. Gli insulti e le violenze di questi mesi e la politica di ignorare e non assumersi le responsabilità delle autorità hanno moltiplicato la nostra rabbia».

A ZAHEDAN migliaia di manifestanti sono scesi in piazza dopo la preghiera del venerdì malgrado lo spiegamento dell’imponente forza di sicurezza. Maulvi Abdul Hamid, imam di Zahedan, diventato una delle figure di spicco nelle proteste a livello nazionale, ha detto nel suo sermone del venerdì: «Il rapporto tra il popolo e la Repubblica islamica ha raggiunto un punto morto, l’unica soluzione è l’indizione di un referendum».

La richiesta di un referendum al fine di modificare la costituzione era stata avanzata anche dall’ex primo ministro Mir Hossein Mousavi, agli arresti domiciliari da dodici anni. Malgrado la proposta avesse provocato un forte sdegno tra le file delle personalità governative, ha provocato una grande discussione tra i riformisti e alcuni lo hanno sostenuto.

Sono riprese anche le proteste delle minoranze belucia e turkmena nella città di Galiksh. Alcuni manifestanti scesi in piazza avevano in mano cartelli con la scritta «Liberate gli studiosi e gli insegnanti detenuti». La protesta si consuma anche a porte chiuse. In un video diventato virale, Zainab Kazempour, membro dell’Organizzazione di ingegneria della provincia di Teheran, si è tolta il velo durante l’elezione del consiglio di amministrazione e ha lasciato il palco in segno di protesta. Non le era stato permesso di candidarsi perché non indossava il velo.

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