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L’inceneritore pulito? Inquina un po’ meno

L’inceneritore pulito? Inquina un po’ menoL’inceneritore di Amager Bakke – Ansa

Rifiuti Gli impianti di ultima generazione emettono meno benzene, diossine e Pcb. Che però finiscono nelle piante e negli animali che vivono vicino

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 12 maggio 2022

Nella seconda metà del 1700 il chimico francese Antoine Lavoisier formulò una delle fondamentali leggi ponderali della chimica: quella di conservazione della massa, la quale afferma che data una reazione chimica, la somma delle masse delle sostanze che si hanno prima dell’inizio della reazione, i reagenti, deve essere uguale alla somma delle masse delle sostanze che si ottengono con la reazione, i prodotti. Una versione più moderna del principio «Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma» a cui Democrito e altri filosofi greci erano giunti quasi due millenni prima.

LEGGE SEMPITERNA ed universale, che vale anche per la combustione, che è una reazione chimica a tutti gli effetti: ciononostante, nella discussione che si sviluppa attorno agli inceneritori come metodo per l’eliminazione dei rifiuti , sembra che possano valere delle eccezioni.

LA COMBUSTIONE in generale produce anidride carbonica e una serie di altre sostanze che dipendono dal tipo di combustibile. Nel caso dei rifiuti, i fumi prodotti oltre all’anidride carbonica contengono macroinquinanti quali i famigerati ossidi di azoto e di zolfo, microinquinanti quali diossine, diossine alogenate (Pah, Pfas) e metalli pesanti, polveri a particolato fine e ultrafine, mentre nelle acque di scarico finiscono anche sostanze come gli idrocarburi policiclici aromatici (Ipa), i policlorobifenili (Pcb) e vari derivati del benzene. Così per inciso, l’eterogeneità dei materiali bruciati negli inceneritori fa sì che le reazioni chimico-fisiche che vi avvengono possano essere imprevedibili e originare sostanze ignote.

È SICURAMENTE VERO CHE i termovalorizzatori di ultima generazione, grazie a sistemi di filtraggio più moderni, inquinano meno. In Italia, per esempio, il rapporto Ispra 2021 sulle emissioni in aria mostra che nonostante l’aumento delle quantità di rifiuti inceneriti, i livelli di alcune sostanze pericolose come diossine, metalli pesanti e idrocarburi policiclici aromatici etc, sono notevolmente diminuiti. Ma diminuiti non significa scomparsi. E se non sono più nell’aria, sono da qualche altra parte.

PER TROVARLI BISOGNA PORSI delle domande diverse da quelle a cui rispondono quegli studi scientifici che indicano i termovalorizzatori di nuova generazione come non dannosi. Per esempio, cosa succede a tessuti ed organi di animali e piante che si trovano nei pressi di un inceneritore?

È QUELLO CHE HA FATTO Zero Waste Europa, una rete dedicata alla promozione dell’abbattimento dei rifiuti, che in collaborazione con ToxicoWatch ha di recente condotto uno studio sui termovalorizzatori di ultima generazione, preoccupandosi però di andare a rilevare non le emissioni ai camini, ma la presenza di sostanze inquinanti negli esseri viventi limitrofi agli impianti. Ovvero hanno misurato il cosiddetto bioaccumulo, un processo attraverso cui le sostanze tossiche assorbite, inalate o ingerite, penetrano nelle cellule di animali e vegetali, e si distribuiscono attraverso la catena alimentare.

SI TRATTA DEL FENOMENO CHE PORTÒ Rachel Carson a scrivere il testo che 60 anni fa ha dato inizio al pensiero ecologista, Primavera silenziosa: era esattamente 60 anni fa quando la biologa si accorse che gli uccelli non cantavano più perché uccisi dal Ddt assorbito dagli insetti di cui si nutrivano.

LO STUDIO DI ZWE SI È SVOLTO SU TRE inceneritori di ultima generazione: i più avanzati tecnologicamente sono quello di Pilsen, in Repubblica Ceca, attivo dal 2015, e quello di Kaunas, in Lituania, entrato a regime nel 2020 mentre meno all’avanguardia è quello di Valdemingomez, vicino Madrid, che è stato costruito nel 1996. Oltre ad essere un campione molto rappresentativo degli impianti presenti in Europa, sono stati scelti in quanto sorgono in zone molto ricche di vegetazione e con numerose fattorie. Nella zona di ricaduta individuata infatti, gli indicatori scelti per il rilevamento di sostanze inquinanti sono stati in particolare uova di gallina, aghi di pino e muschi. I risultati hanno confermato le preoccupazioni degli ambientalisti rispetto la presunta sicurezza delle emissioni di questo tipo di impianti.

IL TERMOVALORIZZATORE DI PILSEN è quello che ha fornito i dati più significativi, in quanto situato in una zona di campagna molto isolata, e quindi lontano da altre fonti di inquinamento che rendono più complicato attribuire la provenienza delle sostanze tossiche. L’89% delle uova campionate a Pilsen non è risultato conforme con il limite Ue per le diossine nelle uova, il 50% non rientra nei requisiti per un consumo alimentare sicuro. Uova quindi che non possono essere messe in commercio, ma che possono venire consumate informalmente in loco. Superati nel 75 % delle uova anche i livelli di dl-Pcb, appartenente alla categoria dei policlorobifenili, classificati come sostanze cancerogene per l’uomo dall’Agenzia Internazionale per la ricerca sul Cancro.

NELLE UOVA SONO STATI TROVATI anche alti livelli dei famigerati Pfas, inquinanti molto stabili e persistenti nell’ambiente, in grado di raggiungere alte concentrazioni nei tessuti e che sono stati riconosciuti come interferenti endocrini. Non stanno bene nemmeno le piante di Pilsen: la concentrazione di diossine è risultata 3 volte superiore alla media negli aghi di pino, 7 volte superiore nei muschi. I livelli idrocarburi policiclici aromatici, anch’essi mutageni e cancerogeni, sono risultati elevatissimi negli aghi di pino: ben 87 volte al di sopra della media.

I RISULTATI RELATIVI AD ALTRI IMPIANTI non si discostano di molto da quelli di Pilsen e riportano a paradigma: dove ci sono termovalorizzatori, i valori di certe sostanze inquinanti sono più alti. La ricerca condotta in tal modo quindi evidenzia che pur rispettando sulle emissioni e gli standard Bat (Best Avaible Techiniques), questi impianti non riescono a eliminare una moltitudine di inquinanti organici persistenti nei gas delle ciminiere e nei residui dell’incenerimento, e non tengono conto dell’effetto accumulo: anche se emesse in quantità minime, queste sostanze nel tempo raggiungono nelle matrici biologiche concentrazioni consistenti e dannose. Va da sé che, per tutelare veramente la salute dei cittadini europei che vivono nei paraggi di questi impianti, raccomandano gli esperti di Zero Waste Europa, il biomonitoraggio andrebbe svolto per legge con continuità e per tutti gli impianti.

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