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L’Europa cerca di chiudere le stalle digitali

Ri-mediamo La rubrica settimanale a cura di Vincenzo Vita
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 6 luglio 2022

L’Europa ha approvato due testi che faranno epoca. Si tratta del Digital Services Act (DSA) e del Digital Markets Act (DMA).

Sono regolamenti assai significativi, arrivati all’atto conclusivo dopo passaggi tormentati e accordi difficili nel cosiddetto trilogo (le tre istituzioni di Bruxelles: assemblea parlamentare, consiglio, commissione), nonché in presenza degli ormai tradizionali assalti delle lobby.

Hanno già scritto nel merito su il manifesto, raccontando le diverse fasi del processo, Stefano Bocconetti il 17 dicembre 2021 e Teresa Numerico il 6 febbraio 2022.

I testi sono l’esito del «pacchetto digitale» presentato dall’esecutivo europeo alla fine del 2020, a valle di una consultazione pubblica con gli stati membri sollecitata dalla bulimia degli oligarchi della rete. Questi ultimi, chiamati Over The Top (da Amazon, a Apple, a Facebook, a Google, a Microsoft), sono diventati da tempo delle meta-nazioni, ben più potenti degli altri potenti.

L’età del capitalismo delle piattaforme si è avvalsa di tale sguaiata presenza per plasmare produzione e forme del consumo, desideri individuali e consapevolezza collettiva. Per di più, la costruzione delle nostre identità, attraverso la minuziosa sorveglianza cui siamo sottoposti, pone un serio problema democratico.

I dati personali, che pure dovrebbero appartenere a noi medesimi, sono oggetto di mercimonio: al minimo commerciale, di sovente per ignobili usi politici: come dimostrò il caso – non certamente isolato- di Cambridge Analytica.

Insomma, il Grande Fratello (quello di Orwell, non i format che si sono impropriamente accaparrati il nome) incombe e il cuore comincia a battere anche negli asettici edifici dell’Unione.

Certamente, però, i buoi sono in gran parte usciti dalle stalle digitali e chissà se i citati regolamenti riusciranno a porre qualche rimedio. Vedremo.

Dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, dovranno passare tra sei e quindici mesi per l’entrata in vigore.

Il senso dei provvedimenti è chiaro, ancorché limitato nei suoi confini.

Si corregge nettamente l’assunto principale della vecchia direttiva del 2000 sul commercio elettronico, recepita dal decreto legislativo n.70 del 2003, vale a dire il carattere di mero trasportatore neutrale attribuito ai grossi provider. Ora, si rovescia l’ordine degli addendi e si avvicina la disciplina esistente nel mondo analogico alla sfera on line.

Si evoca la responsabilità legale delle Big Tech verso gli utenti, fino alla rimozione dei contenuti illegali o nocivi, e passando per un freno al ricorso incontrollato alle inserzioni pubblicitarie e alla profilazione delle persone (DSA). E si introducono criteri per mettere argini alle strutture di grandi dimensioni che esercitano una funzione di controllo dell’accesso, in gergo gatekeeper.

Da lì discendono servizi di intermediazione, motori di ricerca, sistemi operativi, gli stessi social network. Le sanzioni pecuniarie previste sono alte (dal 4% al 20% del fatturato mondiale), ma uno dei cambiamenti attuati in sede parlamentare ha escluso numerose società, illuminando solo la quota di maggior peso.

Il riferimento coercitivo è alle compagini d’oltre oceano. Un pizzico di antiamericanismo si potrebbe cogliere, ma volto a tutelare le imprese europee e non ispirato ad una visione tesa a limitare lo strapotere privato.

Comunque, è un passo avanti nel complesso universo legislativo inerente ad una materia che vede le vecchie culture giuridiche con il fiato corto.

Si sente l’assenza di un effettivo aggiornamento degli e negli approcci, mentre si avvicina rapidissimamente al confine tra umano e post-umano: intelligenza artificiale di nuova generazione, robot, informatica quantica, dittatura definitiva degli algoritmi.

E in simile transizione si rende urgente ibridare regolazione e co-regolazione con principi fermi e coinvolgimento attivo dei soggetti interessati.

Tuttavia, pur a fronte di discipline evolute e migliori di ciò che fu squadernato in passato, si ripropone la questione di fondo: possono gli Over The Top con i loro miliardi di navigatori essere di esclusiva proprietà privata?

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