L’età dei video online che sfidano la morte
Ri-mediamo La rubrica settimanale a cura di Vincenzo Vita
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La vicenda di Casal Palocco, a Roma, con la morte del giovanissimo Manuel a causa di un incidente causato da un Suv che sfrecciava a tutta velocità per documentare una assurda esperienza esistenziale al limite, ci fa capire che l’impianto normativo in vigore è acqua fresca. È vero che l’autore del gesto criminale Matteo Di Pietro è indagato per incidente stradale, ma il gioco è diventato estremamente pericoloso.
Com’è tragicamente noto, la sfida era lucrativa: la società Borderline dei soggetti in questione è una delle numerose aziendine nate magari per caso in grado di raccogliere migliaia di visualizzazioni (Click Bate ) su YouTube, con ragguardevole ritorno economico.
Ora, a fronte del dolore, il canale è stato chiuso ancorché non immediatamente e su indicazione dello stesso provider. Ma fino a quando continuerà simile tentazione a usare i mezzi offerti dall’età digitale come base di affari ai confini della legalità?
Malgrado le recenti, più aggiornate, discipline europee tese a considerare le piattaforme che trasportano i contenuti corresponsabili degli stessi, fintanto che non sarà a regime l’impostazione del Digital Services Act, rimane l’inerzia del decreto legislativo 70/2003 (che recepiva la direttiva dell’Ue 2000/31) e la questione delle responsabilità naviga nel limbo. Insomma, se nei casi di maggior efferatezza la giustizia si volge contro gli esecutori materiali, rimane esente chi veicola i messaggi.
Tutto questo ha origine della ventata iniziale che investì la Rete come immaginato luogo di libertà e di relazioni solidali, con un forzato distinguo rispetto ai media classici. Nel mondo che fu analogico, il quadro giuridico – difetti e lacune a parte- le responsabilità editoriali erano (e sono) improntate a qualche certezza. Nelle stagioni tecnologicamente avanzate si è sognato che fosse sufficiente l’autoregolamentazione. Un conto, infatti, è lottare contro ogni forma di censura o di bavaglio. Altro è non definire con precisione i coinvolgimenti decisionali, laddove i content creator stipulino contratti di partnership con le medesime VSP.
Gli Stati devono adempiere a tali compiti, attraverso – ad esempio- l’intervento attivo delle Autorità preposte a regolare il sistema. Parliamo soprattutto dell’Agcom, che si appresta a presentare in Parlamento la sua relazione annuale. Se ci fosse, al riguardo, una sorpresa positiva? La speranza è l’ultima a ritirarsi, anche perché l’istituzione presieduta da Giacomo Lasorella è già intervenuta in materia, pur se in casi particolari.La difesa dei minori, peraltro, è un criterio generale cui guardare a maggior ragione in occasioni estreme e inquietanti. Tuttavia, minori o meno che si sia, gli utenti sono persone, con diritti e doveri previsti dalla Costituzione.
Qualcosa è successo negli ultimi mesi, con le multe e le condanne contro l’utilizzo delle piattaforme per il gioco d’azzardo: Google e Facebook nel mirino. E You Tube (appena sfiorato), che è un enorme canale di trasmissione, con un’utenza che supera diverse offerte della vecchia televisione generalista?
Non si perda rapidamente la memoria di quanto è avvenuto a Casal Palocco, secondo una penosa tradizione di certa cultura mediale, per cui dopo pochi giorni i riflettori si spengono e i cattivi tirano sospiri di sollievo.
Pare venuto il tempo di aprire una stagione finalmente all’altezza della situazione, con il varo di misure capaci di precedere e non solo di seguire i misfatti. La geopolitica dell’infosfera impone di cambiare registro e di percorrere strade adatte a raccogliere i nuovi stili di produzione e di consumo.
Gli stessi dati sulle audience continuano a considerare i media il cuore tolemaico, cui aggiungere le altre fruizioni. L’assunto va rovesciato: si cominci da You Tube, per indagare sulla realtà effettiva, non quella supposta.
PS. Corre notizia che nel testo in elaborazione del nuovo Contratto di servizio tra lo Stato e la Rai compaiono le parole natalità e genitorialità e non giornalismo d’inchiesta. Ha sollevato il tema l’attento consigliere Laganà.
È auspicabile che non sia vero, perché esiste la categoria del ridicolo.
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