ExtraTerrestre

«Le sirene dell’agrobusiness mettono a rischio le pratiche dell’agroecologia»

Un fotogramma da Seed Stories FIlmUn fotogramma da Seed Stories

Intervista Incontro con Chitrangada Choudhury e Aniket Aga, autori del film «Seed stories». «Nel film cerchiamo di mostrare che queste comunità indigene hanno così tante conoscenze da poter coltivare 50 colture diverse. Ma il cotone (Bt) rappresenta una promessa di denaro»

Pubblicato 6 mesi faEdizione del 30 maggio 2024

È in atto un silenzioso scontro di mondi alle pendici della Niyam Giri («signora montagna» per le popolazioni indigene adivasi), nello Stato indiano dell’Odisha. Lo raccontano la giornalista e regista Chitrangada Choudhury e l’antropologo Aniket Aga nel documentario Seed Stories, approdato in Italia grazie al Festival delle Terre, una rassegna periodica di opere indipendenti su agricoltura, ambiente e diritti, a cura dell’organizzazione Crocevia. Nella natura verdissima dei Ghat orientali, dove è attiva da anni la banca delle varietà di riso tradizionali Basudha, mani di donne e uomini adivasi (tribali) conservano e tramandano – per ora – un’ampia gamma di antichi cereali, legumi e tuberi, coltivati o raccolti nella foresta. Ma grazie a ditte private e al governo, sono arrivati fin là i semi di cotone geneticamente modificati (Bt) e i prodotti fitosanitari abbinati. In 15 anni, denuncia il film, la superficie coltivata a cotone è aumentata del 5000%; ora i soffici fiocchi bianchi sono la coltura più diffusa, dopo il riso e prima del tradizionale miglio. In questo hotspot dell’agro biodiversità, lo sguardo degli autori contrappone nuove minacce e antiche resistenze.

Come lavora la Basudha Conservation Bank?
Un piccolo gruppo, guidato dallo studioso Debal Deb, gestisce la conservazione di 1500 varietà di riso, raccolte da diverse regioni dell’India, peculiari per il colore, la lunghezza del chicco, la fragranza, il profumo, il fabbisogno idrico e altro ancora. Secondo una ricerca condotta negli anni 1950, prima della Rivoluzione verde, la regione dei Ghat orientali contava fino a 2000 varietà. La banca dei chicchi di riso non accetta contributi da aziende, né dal governo; alcuni volontari danno una mano – anche noi lo abbiamo fatto più volte –, si raccolgono contributi a livello di base. I semi vengono distribuiti gratuitamente. Gli abitanti coltivatori dell’area possono ottenerli e ricevere anche la formazione; l’idea è che li seminino nei propri terreni e li distribuiscano in seguito ad altri. I semi possono rimanere una risorsa viva solo se diffusi nei campi.

Ed eccoci alle minacce. La montagna Niyam Giri è piena di bauxite, un minerale che trattiene l’acqua dei monsoni. Anche da questo deriva la fertilità dell’area. Negli anni scorsi, le comunità locali si sono sollevate contro mire estrattiviste.
La grande compagnia mineraria Vedanta, sostenuta dal governo, vuole la bauxite. Da 25 anni la gente protesta e blocca l’estrazione. Non hanno permesso alla Vedanta di mettere piede. Questa resistenza per la terra e la foresta si è opposta a un tentativo di espropriazione. L’arrivo delle sementi modificate è certo un’invasione, ma i contadini non la vedono come un’espropriazione, perché è una violenza ad azione lenta: lentamente gli indigeni perderanno i loro sistemi alimentari, le loro sementi. Il rapporto con la terra sta cambiando a causa di nuove sostanze chimiche, le foreste stesse sono danneggiate dai prodotti fitosanitari di sintesi. I semi di cotone resistenti agli erbicidi non sono permessi in India; eppure vengono venduti, abbinati al temibile glifosato, pur vietato in Punjab e Kerala e contestato nel resto dell’India. Qui non c’è ancora una protesta contro i rischi dell’agricoltura chimica, una relativa novità in questa regione che ha tradizionalmente praticato l’ agroecologia.

«Seed Stories» rende vividamente il lavoro di base in uno degli ultimi bastioni dell’agricoltura tradizionale e della diversità genetica, un esempio di antiche pratiche agricole. Come mai contadini così consapevoli non paiono troppo critici nei confronti dell’arrivo di semi di cotone ibridi e di input tipici dell’agricoltura convenzionale?
Non vogliamo giudicare gli agricoltori che adottano i semi di cotone Bt. Nel film cerchiamo di mostrare che queste comunità indigene hanno così tante conoscenze da poter coltivare 50 colture diverse nei loro appezzamenti. Ma il governo le definisce arretrate; il funzionario che nel film rappresenta questa mentalità parla di analfabeti e ignoranti, da traghettare nell’agricoltura moderna. C’è poi una questione generazionale. I giovani che vivono là coltivano, ma spesso si recano in città dove lavorano come manovali, magari vogliono guidare una moto, usare un cellulare. E ci sono le spese per l’istruzione dei figli, per la salute. Quindi le persone hanno bisogno di denaro contante, come tutti. Ora, l’agricoltura tradizionale è molto buona per dare sicurezza alimentare e resilienza, ma il cotone rappresenta una promessa di denaro. In realtà, non lo genera a lungo, ma la promessa è attraente. Il governo ha portato il cotone e ha incoraggiato gli agricoltori a passare a questa coltura, e ora le aziende private vendono semi ma anche pesticidi in ogni villaggio. Non giudichiamo, ma vogliamo mostrare il quadro più ampio. Un quadro nel quale i contadini entrano a far parte della filiera del cotone a condizioni molto rischiose. E un quadro nel quale l’agroecologia non viene affatto sostenuta dallo Stato o dalle logiche capitalistiche; i contadini non ricevono alcun sostegno per la loro agricoltura ecologicamente e culturalmente ricca e con pochi input, anzi vengono bollati come arretrati.

Dopo una pioggia intensa, la contadina Palai Huika indica il campo di cotone e spiega: «Era spuntato bene, ma con la pioggia si è salvato ben poco. Non riuscirò a produrre un quintale qui». Il cotone è l’unica coltura da reddito – peraltro aleatoria – che viene imposta nell’area?
Una delle principali colture, ma lo Stato ha promosso anche alcune varietà di riso nell’ambito del paradigma della Rivoluzione verde centrato sulle monocolture, mentre il sistema tradizionale di tante aree abitate dagli adivasi è basato sulla policoltura. La monocoltura del fiocco bianco può essere un grosso problema, ma non è l’unico: il cotone Bt è geneticamente modificato, riesce a resistere agli erbicidi che ormai vengono spruzzati in abbondanza (senza precauzioni), ma le altre piante seminate a poca distanza muoiono. Si rischia l’addio alla policoltura. E all’agroecologia.

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