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Le rate che distruggono il finanzcapitalismo

Nuova finanza pubblica La rubrica settimanale a cura di Nuova finanza pubblica

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 27 gennaio 2018

La Grande Crisi del 2007/08 è stata una straordinaria fucina di novità linguistiche.

Il suo precipitare ha introdotto nell’uso comune una pioggia di termini fino ad allora patrimonio di specialisti: spread, default, subprime, hedge fund, perfino il credit crunch. Si tratta di spie del fatto che alcune dinamiche assolutamente assenti dal dibattito diventavano improvvisamente importanti, emergendo con forza crescente.

Fra questi termini uno dei più notevoli è «cartolarizzazione». Termine pressoché sconosciuto fino a quando l’esplodere della crisi lo ha reso tristemente famigerato.

La cartolarizzazione consiste in un processo di ingegneria finanziaria per cui per esempio un mutuo (cioè un credito/debito di lungo corso) viene ceduto dalla banca a qualcun altro, solitamente a una «società veicolo». In tal modo l’istituto prende i soldi subito, invece di aspettare anni, e il mutuo diviene merce.

Come è stato spesso spiegato, la questione diviene particolarmente complessa quando il mutuo viene spezzettato e le parti che ne derivano vengono inserite in prodotti finanziari complessi, cioè eterogenei nel proprio «contenuto». La crisi prese l’avvio proprio perché la complessità vertiginosa di tali operazioni di tecnica finanziaria resero il sistema completamente opaco.

La foga di arricchire il mercato di tali prodotti aveva portato a concedere prestiti a persone prive di reali garanzie di liquidità, «sotto la soglia» di sicurezza: sub-prime. In modo tale che quando il ciclo economico è peggiorato e i debitori iniziarono a non restituire più nulla, nessuno sapeva davvero cosa contenessero i prodotti finanziari in cui potevano essere tali mutui «tossici».

Tutto il sistema finanziario veniva contaminato. La metafora epidemica diventava il nuovo alfabeto finanziario planetario.

Non riesumiamo le vicende di anni fa per particolare curiosità storica ma per il fatto che si torna a parlare di mutui subprime per l’acquisto di automobili.

Un articolo comparso sul sito della Fed (Banca Centrale Usa) di Richmond col non proprio rassicurante titolo di «Subprime Securitization Hits the Car Lot» dà diversi dati preoccupanti: il debito per prestiti per l’acquisto di auto ha raggiunto i 1.200 miliardi di dollari, poco sotto quello agli studenti (di cui ci siamo già occupati); il tasso di «delinquency» cioè di mancato adempimento degli impegni, è salito nell’ultimo anno.



Le cartolarizzazioni di tali titoli creditizi sono cresciute dal 2000, fermandosi con la crisi ma ripresi pienamente dal 2010. I debiti sub-prime sul totale di prestiti auto sono spaventevolmente più alti rispetto al 2007. Quando scoppiò la crisi.

Se vediamo ai settori di traino non dobbiamo troppo meravigliarci: si è molto citata una partnership di Fiat-Chrysler con la nota banca catalana Banco Santander, una vecchia conoscenza della finanza italiana che ebbe una parte nella crisi di Monte dei Paschi…

Purtroppo tale tendenza non è isolata: anche la britannica Finance and Leasing Association, secondo il Guardian, segnala una parallela crescita di debiti subprime per l’acquisto di automobili: ben 31,6 miliardi di sterline (35,3 miliardi di euro) nel 2017, con un 12% in più dell’anno precedente…

Né dovremmo ricordarci che secondo il piano di Juncker per l’Unione del mercato di capitali, messa in cantiere nel 2015 e arrivata già a buon punto del suo iter per poter meglio innaffiare le aziende europee di capitali al di là della intermediazione bancaria si dovrebbe favorire tecniche di cartolarizzazione: il consiglio ha adottato due regolamenti in merito il 20 novembre 2017. «Senza discussione», si legge letteralmente sul sito della Ue.

Anche considerando la mancanza di regolazione, sono un elemento di instabilità che fa franare le contraddizioni capitalistico-finanziarie. Accollarsi nuovi rischi del genere non pare una idea proprio geniale.

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