L’Europa scende in campo per inseguire un pallone dopo aver vissuto le elezioni che ne hanno tracciato un nuovo profilo politico. Un profilo più preoccupante di quanto già non fosse, vista la minaccia dell’onda nera che ha colpito anche Francia e Germania.

Ventiquattro rappresentative nazionali si sfidano in Germania. Era già successo nel 1988. Ma allora era stato necessario specificare Germania Ovest, visto che le Germanie erano ancora due.

Il mondo è cambiato rapidamente negli ultimi trent’anni, tanto rapidamente da sorprenderci e farci trovare spesso impreparati. Non c’è la Russia. Non perché non sia riuscita a qualificarsi ma perché esclusa dalla Uefa con decisione assunta il 20 settembre del 2022. Pesano come un macigno, anche sui calciatori russi, l’invasione dell’Ucraina e il drammatico conto di morti e distruzioni che si è portata dietro. Il calcio non sempre riesce a far prevalere il principio di fratellanza che è alla base dello sport moderno inclusivo e paritario. Anche il calcio a volte esce sconfitto nelle sue battaglie per la pace.

Si gioca negli stadi del Mondiale del 2006, il mondiale vinto dall’Italia. Gli azzurri, quando c’è la Germania di mezzo, brillano sempre. Era successo a Città del Messico nel 1970 in quel leggendario 4-3, era successo in Spagna nel 1982, è successo anche a Dortmund nel 2006. E, per ironia del destino, gli azzurri si presenteranno in Germania da campioni in carica. Molto difficile confermarsi.

IL PRIMO AVVERSARIO sarà l’Albania. Avversario facile? Tutt’altro. Non è più l’Albania squadra cuscinetto, affascinata dall’Italia tanto da esserne in soggezione. Ha giocatori che sanno il fatto loro e che hanno il giusto orgoglio oltre ad un buon bagaglio tecnico. E che conoscono il calcio italiano non solo per averlo visto in televisione come succedeva una volta dall’altra parte dell’Adriatico, quando antenne e parabole erano orientate verso le nostre coste in una sorta di naturale prolungamento di confini. Lo conoscono perché molti giocano qua. Ben dieci calciatori albanesi giocano nella Serie A e nella Serie B italiane. Uno è persino Campione d’Italia: Kristjan Asllani. Ha vinto lo scudetto quest’anno indossando la maglia dell’Inter.

Spalletti agli allenamenti dell’Italia foto Ansa

I rapporti tra Italia e Albania, tra i due popoli, sono stati sempre stretti. Caratterizzati da simpatia nei nostri confronti soprattutto da parte degli albanesi. Ricordate tutti il contributo economico straordinario di un popolo non ricco nei confronti dell’Italia ai tempi del Covid. Tanto da farci riflettere sul fatto che gli amici più sinceri e generosi spesso sono quelli che stanno peggio di noi.

Generosi non lo siamo stati troppo all’epoca della forte ondata migratoria che portava sulle nostre coste donne, uomini e bambini albanesi che cercavano nel nostro paese di sfuggire alla povertà che attanagliava il loro nel difficile momento di passaggio dal crollo del regime comunista al presente. Con rare eccezioni, erano visti con sussiego e diffidenza e spesso tutti genericamente associati ai delinquenti che inevitabilmente sbarcavano insieme a chi cercava un futuro.

OGGI SIAMO ANDATI OLTRE. Oggi c’è un governo di destra estrema che pensa all’Albania come a una sorta di moderna colonia all’interno dei cui confini scaricare come un peso la nostra incapacità di gestire il fenomeno migratorio. E senza alcuna vergogna, direi persino con protervia, paghiamo il governo di Rama perché ospiti sul suo territorio campi di detenzione italiani – perché di questo si tratta – dove scaricare esseri umani. Quelli che sfidano il mare e la morte per cercare salvezza. Lontano dagli occhi, dalle telecamere, dalla coscienza civile, per renderli invisibili. Come ormai sono diventati invisibili, per i nostri telegiornali pubblici e privati, gli sbarchi dei disperati sulle nostre coste.

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E l’Albania ha detto di sì in cambio di soldi. Ha «affittato» un po’ del suo territorio per tenere lontani da noi i più poveri e i più disperati. Stona questa Albania che dimentica quello che per molti anni è stato il suo percorso: barconi insicuri che attraversavano l’Adriatico per raggiungere le nostre coste colmi di esseri umani che cercavano le nostre città e quella vita vista in Tv. Ne volevano un po’ anche loro.

Che c’entra questa storia con una partita? C’entra perché il calcio non è solo undici contro undici. Il calcio racconta la nostra storia, l’accompagna, la illustra, quasi, con le pennellate che i più bravi sanno disegnare su un campo. E perché il calcio, lo sport più in generale, hanno grande familiarità con la geopolitica. In campo scendono anche sentimenti, passione, suggestioni. Di chi gioca e di chi guarda una partita di calcio. In quel campo gli ultimi davvero possono essere i primi, e i più ricchi – di talento e di soldi – possono perdere contro i più poveri. Anche se capita raramente.

Del resto se Faruk è passato alla storia come il giocatore della Jugoslavia che sbagliò il calcio di rigore che avrebbe eliminato l’Argentina, è anche perché quella partita dei Mondiali del 1990, giocata a Firenze, fu l’ultima della Jugoslavia. La squadra si estinse come il paese che rappresentava sotto le bombe di una guerra sanguinosa.

Come Jürgen Sparwasser è stato capace di ritagliarsi un momento di gloria segnando il gol della storica vittoria della Germania Est contro la Germania Ovest nel 1974. Il gol del giocatore comunista che aveva battuto la squadra dei capitalisti. Il giocatore comunista che scavalcò il muro di Berlino, dopo qualche tempo, per scappare verso l’Ovest della ricchezza.
Vedremo se e cosa consegnerà alla storia l’Europeo del 2024.