Quando l’orologio ha segnato le 11.52, per un minuto alla Moneda è sceso il silenzio. Cinquant’anni prima, in quel preciso istante, aerei da caccia Hawker Hunter iniziavano il bombardamento sul palazzo presidenziale. Al suo interno, Salvador Allende, circondato dalla sua guardia personale, viveva da eroe le ultime drammatiche ore della sua vita.

È IN QUEL MINUTO di silenzio rotto solo dal suono delle campane che i partecipanti hanno reso omaggio alle vittime del bombardamento, in uno dei momenti più emozionanti della cerimonia di commemorazione per i 50 dal golpe di Pinochet. Fuori dalla Moneda con la bandiera a mezz’asta i rappresentanti di diverse organizzazioni lasciavano offerte floreali al monumento a Salvador Allende nella Plaza de la Constitución e dinanzi alla porta al numero 80 della Calle Morandé, quella attraverso cui era stato portato via il corpo senza vita del presidente.

La cerimonia ufficiale era cominciata un’ora prima, introdotta dall’inno nazionale suonato dal pianista e militante del Partido Comunista Valentín Trujillo: tra gli invitati nazionali e stranieri, Andrés Manuel López Obrador, Luis Arce e Gustavo Petro, il primo ministro portoghese António Costa, l’ex presidente uruguayano José Mujica, gli ex presidenti Michelle Bachelet e Ricardo Lagos, la presidente delle Nonne di Plaza de Mayo Estela de Carlotto.

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È STATA quest’ultima la prima a parlare, rendendo omaggio a «quanti, in un modo o nell’altro, hanno sacrificato la loro vita». «Le democrazie che abbiamo sono stati loro a costruirle, sono stati loro a insegnarci a non aver paura», ha evidenziato, pronunciando le tre «parole eterne: memoria, verità e giustizia» e invitando a «non smettere un solo istante di ricordare che tutti dobbiamo contribuire a far sì che questo non accada mai più». Lo ha ribadito anche, emozionatissima, la senatrice Isabel Allende, figlia del presidente scomparso: «La memoria è il cammino per raggiungere la giustizia». E lo ha detto in un momento in cui, dal ritorno della democrazia, la memoria di quanto accaduto non è mai stata tanto calpestata.
È proprio da qui che è partito il discorso di Boric, in polemica con il revisionismo dilagante e con tutti gli svariati «sì, ma» pronunciati in questi ultimi mesi («i torturati, gli assassinati, i desaparecidos sono stati vittime, sì, ma avrebbero potuto essere carnefici», si è spinto a dire l’ex ministro degli Interni di Piñera Víctor Pérez).

«IL GOLPE non è separabile da quello che è venuto dopo. Le violazioni dei diritti umani hanno avuto inizio il giorno stesso del colpo di stato», ha insistito Boric, ricordando come «in qualsiasi paese democratico del mondo risuoni il nome di Allende». Non è mancato il riferimento al “Compromiso de Santiago”, il documento trasversale firmato con i quattro ex presidenti ancora in vita (Frei Ruiz-Tagle, Lagos, Bachelet e Piñera), di cui solo due, peraltro, hanno preso parte alla cerimonia: il magro risultato degli sforzi di Boric per raggiungere una base di consenso con l’opposizione. Ma il presidente ha anche ricordato che l’unica riconciliazione possibile si ottiene «ponendosi indiscutibilmente dalla parte delle vittime dell’orrore».
E di omaggi a quelle vittime ve ne sono stati moltissimi negli ultimi giorni in Cile. Quello per esempio realizzato sabato dal Collegio dei giornalisti nei confronti di Radio Magallanes, grazie alla quale il mondo ha potuto ricevere l’ultimo immortale discorso di Allende, e di tutti i giornalisti assassinati e desaparecidos dopo il golpe. O quello che lo stesso giorno aveva avuto luogo al Palazzo dei tribunali di giustizia di Concepción per iniziativa di diversi gruppi femministi, in memoria di tutte le donne sequestrate, fatte scomparire e assassinate durante la dittatura.