«Sapete dirmi cosa è successo ieri?»- domanda la maestra alle bambine e ai bambini di una classe arrangiata sotto la tenda di un campo profughi alla frontiera Afghanistan-Pakistan. Gli scolari restano in silenzio, perplessi. Finalmente una bambina alza la mano e grida, contenta di avere la risposta: «Io lo so, il nonno di Aziz è caduto nel pozzo!»

Rotto l’imbarazzo iniziale si alzano altre mani per dare informazioni analoghe. Lo “ieri” su cui la maestra indaga è il giorno dell’attacco alle Torri gemelle di New York.

E’ il primo episodio del documentario collettivo diretto nel 2002 dalla giovanissima regista iraniana Samira Makhmalbaf: titolo ’11/’09/’01, premiato più volte, anche a Venezia.

Il secondo episodio, interpretato e diretto dal regista americano Sean Penn, si svolge a New York, in una stanza al piano basso di una casa buia. Il vecchio che vi abita, solo e triste, si illumina di gioia, come la sua stanza, quando d’improvviso, e inatteso, un raggio di sole entra dalla finestra: le Torri Gemelle che chiudevano la vista sono appena state abbattute.

Ken Loach, sceglie per il suo episodio un evento di 28 anni prima. La data è per due terzi la stessa, l’11 setttembre, diverso è solo l’anno,il 1973. E’, la sua, come di consueto, una provocazione: perché non celebrare con la stessa forza quel tremendo colpo di stato di Pinochet in Cile, quando, anche quella volta, gli Stati Uniti erano stati i protagonisti principali, non come vittime ma come mandanti di una catena di fatti che ha sconvolto il mondo?

La ricorrenza del golpe cileno che oggi celebriamo ,50 anni dopo, dovrebbe farci riflettere su quanto realmente poco comune, cioè globale, sia la memoria dell’umanità, in un tempo che pure viene chiamato proprio così.

Quanti nel mondo sentiranno la stessa acuta emozione, e paura, che tuttora proviamo noi democratici occidentali nel ricordare il dramma cileno?

Pochi nel mondo, e non perché siano distratti, ma perché il sistema di valori, il modo di recepire e di avvertire gli eventi dipendono ovviamente dalle informazioni che costruiscono la cultura di ognuno, la propria soggettiva emotività. E siccome il sistema informativo mondiale si fonda oggi per più dell’80% su fonti occidentali, oltre a produrre disinformazione produce anche diffidenza verso quello che viene offerto dal pensiero unico che ci viene imposto.

Tanto più oggi quando i soprusi e i colpi di stato che li permettono, sono diventati molto più soft di un tempo. Non perché siano diminuiti o sia cambiata la loro sostanza, anzi, ma perché per questi “golpe” non c’è più bisogno di aggressioni militari, di omicidi ,di barbare reclusioni.

Basta, ma solo in occidente, ricorrere alla privatizzazione invisibile di quanto dovrebbe esser deliberato da istituzioni democratiche e invece viene sempre più spesso deciso silenziosamente da grandi gruppi finanziari che operano sul mercato mondiale, ricorrendo ad avvocati e notai privati.

Una operazione possibile sulla base della pretesa che ci avvelena ormai da qualche secolo: che il modello occidentale sia il punto d’arrivo della civiltà, e dunque tutti coloro che non vi appartengono siano obbligati a imitarne l’esempio.

Con la globalizzazione attuale il pensiero non è diventato sempre più comune, si è sempre più appiattito, perché anziché arriccchirsi di un contributo collettivo è stato sottoposto a una vera dittatura.

Questa è la dittatura più dura, più grave. Anche perché non ha bisogno di militari, di fucilate, di imprigionamenti (qualche volta sì, pensiamo ad Assange!), perché l’occidente ha imparato a esercitare il suo potere monopolistico in modi più soft, privatizzando sempre più il potere deliberativo degli organismi che dovrebbero esercitare la sovranità popolare, e affidando sempre più le decisioni importanti ai grandi gruppi finanziari multinazionali che operano indisturbati sul mercato globale.

Sono manovre silenziose, incontrollabili, sicché è più difficile persino reagire come quando il furto della democrazia avvenne, come fu a Santiago del Cile, 50 anni fa, quando il presidente Allende fu ammazzato nel palazzo del governo.

Oggi, quando tutti i giornali ci riporteranno nel cuore le emozioni, e le paure prodotte dal colpo di stato cileno, da cui noi in Italia fummo particolarmente segnati, vorrei che si avviasse anche un momento di riflessione più generale. E di impegno, nel combattere «i colpi di stato invisibili».

Anche il fascismo che li produce è più soft, ma non ci facciamo ingannare, non basta prendercela solo con le ridicole enunciazioni dei rappresentanti del governo Meloni, troppo spesso il fascismo è diventato sostanza anche se privo delle sue modalità più appariscenti.

Vuol dire, purtroppo, che i fascisti da combattere sono molto più numerosi e pericolosi. Perché la sostanza del suo fare è purtroppo molto uguale a quella del nostro democratico occidente. La “nostra” dittatura informativa ne è la dimostrazione più evidente.

Così anche commemorando, esercizio certo importantissimo, bisogna denunciare tutto, non solo Pinochet. Il Cile dobbiamo ricordarlo il più possibile, ma collegarlo con l’oggi.