Si comincia con l’essere post-ideologici, si finisce per voler riscrivere la storia. Edi Rama, il grande uomo al comando in Albania, ancora una volta mostra riconoscenza all’Italia più di quanto già fece in maniera spettacolare quando mandò trenta medici albanesi durante il picco dell’emergenza Covid.

L’accordo per l’apertura di due centri per richiedenti asilo non è infatti normale politica internazionale, non è uno scambio, non è un dare/avere di reciproci interessi tra paesi democratici e sovrani. È “dovere”, “riconoscenza”, “amicizia”, un “obbligo morale storico” secondo Rama, che si traduce in prostrazione e vassallaggio.

Nel racconto dei due premier la storia dei rapporti tra i due paesi si può sintetizzare così: gli albanesi fuggiti dal paese dopo la fine della dittatura comunista sono stati accolti amorevolmente dagli italiani, pertanto il popolo albanese ha un debito eterno che “non si può estinguere” secondo Rama. Anche se questo evidentemente è un modo per provarci.

Gli altri tasselli della storia, l’occupazione fascista che fece dell’Albania un Protettorato del Regno d’Italia, la violenza di Stato consumata nello stadio di Bari nel 1991 sui corpi di chi arrivò con la nave “Vlora” e i rimpatri di massa che ne seguirono non esistono più. Dimenticati anche il naufragio della Kater i Rades, nel quale morirono 81 migranti albanesi, speronati dalla Marina Militare italiana che la inseguiva. Poco importa anche che il principale alleato di governo di Giorgia Meloni, la Lega, quando aveva accanto la parola “Nord” tappezzava Milano di manifesti elettorali con scritto “Un voto alla Lega un albanese in meno a Milano”.

La storia va avanti, ci mancherebbe altro, gli albanesi in Italia non sono più considerati solo coloro che si spaccano la schiena nei lavori più duri o che muoiono nei campi agricoli ammazzati dalla mafia come Hyso Telharaj nel 1999, le albanesi non sono più considerate solo schiave del sesso come Adelina Sejdini morta suicida nel 2021 dopo aver passato le peggiori atrocità. Ma la storia va avanti senza che essa sia stata elaborata nella sua complessità, di cui certamente è parte fondamentale anche la commovente generosità di migliaia di italiani che hanno accolto gli albanesi nelle loro case.

La storia per Edi Rama è invece diventata un “meme”, proprio nell’estate della visita di Giorgia Meloni a Valona nel pieno del boom turistico: con un post sui social diventato virale il premier paragonava la massa di italiani in vacanza nel Paese delle Aquile ai 20.000 albanesi sbarcati con la nave Vlora.

Del resto, Rama è convinto di poter giocare qualunque parte in commedia: può far la destra e la sinistra, lo statista e il populista, il filo-europeista e l’alleato di Erdogan in un contesto dove le opposizioni sono debolissime, spaccate, alle prese con i guai giudiziari.

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Nel paese l’unica città in crescita demografica e ad attirare investimenti è Tirana, nei fatti una vera capitale europea con tutte le potenzialità ma anche le contraddizioni del caso, esplosione di Airbnb e gentrificazione compresa, mentre il resto del paese si spopola portando in negativo il saldo complessivo. Dall’Albania si continua ad emigrare infatti, anche in Italia.

Su circa 6000 minori non accompagnati accolti in Italia, sono circa 1200 gli albanesi. Quasi tutti a carico dei comuni che hanno sviluppato volontariamente il sistema Sai. Di questo argomento che interessa molto ai comuni italiani, al momento non c’è notizia dai capi di Governo. Non si parla più nemmeno del tanto atteso accordo pensionistico, negoziato per conto del precedente Governo dall’ex Senatore Tommaso Nannicini, che dovrebbe riconoscere agli albanesi in Italia gli anni di lavoro svolti in Albania. Gli albanesi si chiedono quindi: dove sta il vantaggio di tutto questo? Che non ci sia una contropartita nell’accordo sui centri per i richiedenti asilo non ci crede nessuno, nemmeno in Albania.

Quel che è certo è che si sta ribaltando, rischiando un autogol clamoroso per l’Albania, un principio che sta alla base dell’allargamento dell’Unione Europea: tra i vari requisiti per entrare uno Stato deve garantire il rispetto dei diritti umani, oltre a quelli economici e la stabilità democratica delle proprie istituzioni. Quel che sta accadendo invece è che proprio attraverso una potenziale violazione dei diritti umani e le regole Ue in materia di asilo per conto di uno Stato terzo possa garantire un’accelerata al processo di allargamento.

Sul fatto che il posto dell’Albania sia nell’Unione Europea non c’è dubbio, né tra gli albanesi d’Albania né tra gli albanesi della diaspora. Ma a quale prezzo politico, etico, morale, sociale? Anche l’Europa in questo ha gravi responsabilità nell’essere esternamente una fortezza e internamente fragilissima e divisa.

Per l’Albania, anche nel caso in cui il tentativo di prendere una scorciatoia funzionasse, rimangono sul tavolo i problemi: il narcotraffico e la corruzione, le carenze in materia di welfare, sanità, l’enorme disoccupazione giovanile, l’arretratezza delle infrastrutture nonostante siano stati fatti passi enormi negli ultimi 15 anni per rendere il paese sempre più visitabile e attraversabile (anche se solo in automobile non essendoci nessuna linea ferroviaria attiva).

A tutto questo si aggiungeranno 3000 migranti salvati nel Mediterraneo ospitati a Shengjin, 36.000 secondo la rotazione stimata, lontani dagli occhi di chi si occupa dei diritti umani e di chi prova a documentare delle atrocità che accadono già nei Cpr italiani. Strutture che hanno dimostrato di essere più efficaci nella privazione della dignità che nel favorire i rimpatri.

Tutti aspetti che sembrano interessare poco il premier Rama che da camaleonte alla stampa albanese non parla di “rimpatri” ma genericamente di “centri d’accoglienza”. L’accoglienza appunto, quella che afferma di voler restituire, a quanto pare, nel peggiore dei modi.

*Consigliere comunale di Bologna