Se in Italia c’è stata una sorta di sorpresa per il fatto che Giorgia Meloni abbia stretto l’accordo con Rama senza nemmeno consultare i suoi alleati di governo, qui in Albania la decisione di Rama, senza consultare nessuno, di offrire gratuitamente all’Italia un pezzo di terra albanese per costruire campi profughi non ha suscitato alcuna sorpresa. L’idea di un leader onnipotente che si identifica con il partito-Stato e il suo popolo continua infatti a dominare in Albania, dopo trent’anni di affermazione del pluralismo, anche oggi sotto forma di quella che John Stuart Mill chiama «la tirannia della maggioranza».

In Albania sono abituati a vedere Rama decidere su tutto, imponendo i suoi gusti e interessi come gusti e interessi del paese. Hanno fatto cosi anche i suoi predecessori. Tuttavia, la sua onnipotenza non deriva semplicemente dalla volontà degli albanesi di cedere la propria libertà a un leader autoritario. Quella non può essere compresa al di fuori del contesto dei poteri interni ed esterni che mantengono questi leader al potere.

Se cerchiamo il fondamento del potere di Rama, nel sistema odierno albanese quello si trova nel ruolo di mediatore tra quattro fattori, che, paragonerei alle quattro gambe della sedia del suo potere: il potere dei cosiddetti oligarchi; il potere della criminalità organizzata, principale investitore nel economia albanese; il potere mediatico in cui i primi e i secondi hanno investito; e infine, ma il più decisivo: il potere dei nostri partner cosiddetti strategici, gli Stati Uniti e l’Unione Europea tra i quali l’Italia ha un ruolo speciale. Rama, fino ad ora si è mostrato il mediatore più abile ad armonizzare gli interessi di questi quattro poteri. La sua frase “Quando l’Italia ci chiama siamo sempre pronti”, motivata, secondo lui, dalla gratitudine per aver accolto gli immigrati – dimenticando che a questa prima accoglienza sono seguiti la vergogna dello Stadio di Bari e la tragedia della “Kater I Radës” – deve essere letto nel contesto del suo gioco per mantenere le quattro gambe del potere.

La prontezza di gratitudine l’ha applicata anche agli USA quando ha fatto a loro dei servizi, contro gli interessi degli albanesi, come l’offerta di portare le armi chimiche della Siria in Albania per lo smantellamento, l’accettazione di 3000 mujaheddin, ecc.. In Albania si dice che anche una parte delle acque del Sud dell’Albania verranno portate in Italia. Ricordo che il suo predecessore Sali Berisha con la stessa facilita e personale decisione offrì a Berlusconi il terreno albanese per costruire una centrale nucleare.

Questo vassallaggio dei politici albanesi nei confronti dei potenti stranieri che li mantengono al potere è una vecchia storia iniziata nel 1912-1913, quando l’Albania fu conosciuta come stato indipendente principalmente per interessi dell’Austro-Ungheria e Italia. Da allora i politici albanesi hanno imparato che è più facile acquisire legittimità servendo questi potenti che servendo il proprio popolo. Così è successo con Re Zog tra le due guerre che trasformò il Paese in una semi colonia dell’Italia, così è successo dopo la seconda guerra con Enver Hoxha nei confronti della Jugoslavia, dell’URSS e della Cina che lo hanno mantenuto al potere, con le drammatiche conseguenze per il popolo albanese. Lo stesso paradigma sta purtroppo funzionando con i paesi occidentali dopo la caduta del comunismo.

Il problema è che quello che negli anni ’90 sembrava un sincero impegno dei paesi occidentali a contribuire alla costruzione della democrazia e dello stato di diritto in paesi come l’Albania si è degradato man mano in politiche che trattano questi paesi semplicemente come fonti di interessi economici e geostrategici. In queste condizioni, vediamo (non solo in Albania) leader autoritari detenere all’interno del paese un potere abusivo e criminale non solo senza essere disturbati, ma anche essendo sostenuti esternamente da politici occidentali che vedono questi autocrati come il modo più semplice per risolvere i loro problemi senza preoccuparsi che in questo modo aggravano i problemi delle persone che soffrono in queste autocrazie.

L’Accordo di Rama Meloni va letto in questo contesto.

L’Accordo dimostra, tra l’altro, che i due leader hanno molte cose in comune che portano a pensare che non ci troviamo in una situazione in cui l’Albania cerca di avvicinarsi agli standard di un’Italia democratica, ma che è l’Italia democratica che sta scivolando verso il modello albanese.

Ciò è dimostrato dalla facilità con cui entrambi i premier violano gli standard internazionali ed europei relativi ai diritti dei richiedenti asilo; dal modo non trasparente, non istituzionale ma personale con qui hanno fatto questo accordo cosi delicato; lo dimostra anche il fatto che entrambe le parti cercano, attraverso questo atto, di realizzare campagne di propaganda attraverso le quali nascondere la verità sul fallimento delle loro politiche interne. Soprattutto quest’ultimo mi fa pensare alla profezia di Guy Debord che sembra valida per gli due paesi: “Se in un sistema, l’illusione con le sue forme spettacolari arriva al punto in cui prevale sulla realtà, ciò dimostra che l’intero ordine sociale è in una profonda crisi di legittimità”.

*scrittore albanese