Ne Il palazzo dei sogni (La nave di Teseo) una delle sue opere più note censurata in patria dal regime di Enver Hoxha al momento della prima pubblicazione nel 1981, e tornata in libreria dopo la caduta dello stesso, Ismail Kadare immagina che il giovane Mark-Alem, tra i protagonisti del romanzo, sia destinato a lavorare al Tabir Sarraj, il «palazzo per l’interpretazione dei sogni» di Istanbul, dove per conto del Sultano vengono analizzati e studiati i sogni di tutti i sudditi dell’Impero ottomano. Ovviamente, i funzionari preposti devono esplorare l’inconscio collettivo di milioni di persone allo scopo di cogliere segnali potenzialmente pericolosi per il potere.

IN UNA DIMENSIONE che sembra vacillare tra la realtà e le visioni oniriche, di quanti sono sottoposti a questa inedita forma di controllo e censura come dei «controllori» stessi, chiunque può cadere vittima dell’interpretazione errata di quanto ha sognato e diventare un perseguitato dal sistema politico. Non a caso, la critica ha scorto una relazione diretta tra «il palazzo» del romanzo e il profilo paranoico del regime di Hoxha che ha trasformato per quarant’anni l’Albania in uno dei regimi autoritari più cupi e terribili del Novecento.

Già membro dell’Assemblea del Popolo di Tirana, proprio con la pubblicazione de Il palazzo dei sogni, romanzo che gli valse la definizione di «nemico del Paese», espressa nel 1982 dal Plenum degli scrittori albanesi, Kadare, che aveva già firmato diversi testi «sospetti» agli occhi delle autorità comuniste, si vide progressivamente costretto a far uscire all’estero le proprie opere.

SOLO L’INIZIO di un percorso che, per mantenere la propria fedeltà alla terra che amava e alle idee della sua giovinezza che avrebbe poi rivisto alla luce di una critica radicale al totalitarismo, lo spingerà a scegliere la Francia come patria d’elezione, fino ad ottenere l’asilo politico nel 1990 e fare in seguito la spola tra Tirana e Parigi.

Malgrado l’età e lo stato di salute (se ne è andato nella capitale albanese a 88 anni per un attacco di cuore), Ismail Kadare non ha mai fatto mistero di amare il proprio Paese e la sua cultura così a lungo imprigionati da una realtà che si sarebbe potuta credere distopica se non fosse stata drammaticamente vera. Del resto, amava ripetere come «la letteratura autentica e le dittature siano incompatibili… Lo scrittore è nemico naturale delle dittature».