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L’archivio, la memoria, Berlinguer

Elio Germano in «Berlinguer. La grande ambizione» di Andrea SegreElio Germano in «Berlinguer. La grande ambizione» di Andrea Segre

Opinioni Proprio Enrico Berlinguer, in grado di sovvertire la consueta ricerca di qualche effetto speciale nella rappresentazione politica con una capacità incredibile di cercare un uso antimediatico dei media, ci insegna che la forza simbolica dello sguardo non ha pari

Pubblicato circa un'ora faEdizione del 19 novembre 2024

La figura di Enrico Berlinguer, nella ricorrenza della sua tragica scomparsa, è finalmente entrata nel racconto cinematografico e audiovisivo. Il linguaggio delle immagini può affiancare utilmente i testi scritti e contribuire così ad una più complessa (e veritiera) public history. Non solo. Anche il migliore tra i libri non riesce a rendere la forza espressiva di una sequenza (un volto, uno sguardo) che una cinepresa o persino uno smartphone riescono a renderci.

Un esempio: chi potrebbe descrivere solo con le parole la capacità evocativa del popolo comunista (e non) che fece dei funerali del segretario del partito comunista italiano una immensa manifestazione politica e una grande cerimonia mediatica, per rinviare al testo prefigurante dei sociologi Daniel Dayan e Eilhu Katz (1995). Ma non è, ovviamente, l’unica occasione di felice intreccio tra immagini e qualità delle narrazioni. In generale, va sottolineata la portata straordinaria di un’idea popolare di storia capace di rovesciare l’approccio diplomatico sorretto dalla mediazione di una scrittura spesso faziosa, magari coperta da una brillante erudizione. Insomma, dal cineocchio di Dziga Vertov in poi, la potenza della visione diretta ha fatto irruzione nella costruzione del senso e dell’immaginario.

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Proprio Enrico Berlinguer, in grado di sovvertire la consueta ricerca di qualche effetto speciale nella rappresentazione politica con una capacità incredibile di cercare un uso antimediatico dei media, ci insegna che la forza simbolica dello sguardo non ha pari. Pensiamo alla drammatica quasi morte in diretta dell’ultimo comizio di Padova, che da solo ci ammonisce sulla moralità superiore di un agire che non invoca scambi o favori, bensì etica e vicinanza con i bisogni delle persone: in ogni strada, in ogni casa. I film dedicati a Berlinguer sono -nell’ultimo anno- almeno tre: Berlinguer-La grande ambizione di Andrea Segre; Prima della fine. Gli ultimi giorni di Enrico Berlinguer di Samuele Rossi; Arrivederci Berlinguer di Michele Mellara e Alessandro Rossi.

In tutti risaltano i materiali forniti dall’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, la Fondazione culturale nata sul finire degli anni Settanta del secolo scorso che ha un ragguardevole patrimonio inerente -tra l’altro- alle vicende antiche e recenti delle sinistre. E quelle immagini ci dicono che il riuso del repertorio connesso alla formazione dell’opera finita e non giustapposto a mo’ di una nota a piè pagina è una purissima arte.

Il ricorso alla memoria assegna una funzione esteticamente avanzata e moderna al lavoro degli archivi, non scaffali polverosi di custodia conservativa del passato, bensì esseri viventi. Per rendere omaggio alla definizione di un geniale visionario come Cesare Zavattini, che guidò con passione e impegno l’AAMOD, oltre ad essere stato uno scrittore di valore e un mostro sacro del miglior cinema italiano. In particolare, il film di Segre ha suscitato un dibattito interessante ospitato da il manifesto con gli interventi di Guido Liguori e di Luciana Castellina (5 e 7 novembre scorsi).

Certamente, si sente l’assenza nel prodotto pur accurato ed efficace di Segre del Berlinguer isolato degli ultimi anni, dopo la cosiddetta seconda svolta di Salerno che superò criticamente la stagione del compromesso storico per aprirsi all’universo della lotta per la pace e l’ambiente, nonché alle culture femministe oltre l’età della pura emancipazione. E si potrebbe aggiungere l’illuminata intervista contenuta nel supplemento de L’Unità del 18 dicembre 1983 sul futuro delle tecnologie (Orwell sbagliava, il computer apre nuove frontiere).

Tuttavia, pur aderendo alle osservazioni di Luciana Castellina, è bene valutare il film in quanto film. E, allora, viene da applaudire per l’intelligente mix tra piani asimmetrici nel tempo. Che ci sottolineano quanto forma e contenuto siano intrecciati. Anzi. Se si guardano in sequenza i tre titoli evocati, ecco che la figura del segretario del Pci riassume una maggiore complessità. Ricordare Berlinguer è una lezione per l’attività di oggi e induce a rivedere certi giudizi sommari sulla politica, resa bella da una persona così restia a recitare un copione con vis teatrale (da talk) e per questo dotato di una veemenza gentile ma fortissima. Indimenticabile, attualissima ed eversiva.

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