Le reazioni al lancio della campagna presidenziale di Ron DeSantis su Twitter sono state proporzionali alla montatura precedentemente spinta da Elon Musk, e ben riassunte dall’hashtag subito diventato virale in rete: #DeSaster.

L’EVENTO, pompato come quello che avrebbe dovuto sancire la definitiva supremazia dello streaming sulla vecchia tv. è riuscito solo a far fare una figura barbina sia al candidato che al «genio» tech e agitatore alt-right. La diretta Twitter Space, sotto forma di pseudo-intervista condotta dallo stesso miliardario/provocatore sudafricano, è stata un campionario di singhiozzi tecnici, silenzi, echi, voci fuoricampo e fuorionda durati per venti interminabili minuti, punteggiati dalle giustificazioni di Musk che dava la colpa ai server «sopraffatti dal traffico».

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Una dimostrazione di inettitudine tecnologica che ha fotografato lo stato di quello che era uno dei principali social mondiali dopo sette mesi di catastrofica gestione Musk. Immediati e prevedibili i commenti online, a partire da quelli della campagna Trump, una serie di battute ammiccanti sul Titanic e razzi implosi sulla rampa di lancio a cui, con inimitabile stile, lo stesso Trump ha aggiunto tweet sul proprio «bottone rosso, molto più grande» di quello di DeSantis. Meno efficaci i tweet di Musk, che ha tentato di rivendicare un successo dato «che tutti ne parlano».

QUANDO la diretta zoppicante alla fine è riuscita a partire, il governatore italoamericano della Florida ha prodotto il prevedibile compendio di DeSantis-pensiero che si riduce a una rielaborazione di temi trumpiani su élites, stato profondo, invasione straniera e un riepilogo di recriminazioni identitarie e sovraniste della destra populista riconfezionate sotto la rubrica di acchiappatutto anti-woke.

Applicata alla Florida, la «guerra al wokismo» ha prodotto uno stato dove è vietato l’aborto e universale il porto d’armi, nelle scuole sono censurati i libri e vietati i pronomi alternativi, tematiche Lgbtq e storia dello schiavismo. Una distopia illiberale e maccartista che DeSantis propone come modello per l’America, nell’apparente tentativo di superare a destra il frontrunner Trump.

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Come ciliegina, la campagna DeSantis ha diffuso un video promozionale in cui si alternano immagini trionfali dello stesso governatore e repertorio trionfale di Musk a eventi Tesla e Space X, un montaggio che ha indotto supposizioni di un ipotetico ticket DeSantis-Musk.

MALGRADO tutto questo, DeSantis si candida come il più papabile delle alternative a Trump nella corsa alla nomination del Gop in una rosa che comprende ormai una mezza dozzina di candidati ufficiali tra cui tre governatori (DeSantis, Nicky Haley e Asa Hutchinson), un senatore (Tim Scott), un imprenditore (Vivek Ramaswamy) e un dj (Larry Elder). Altri due governatori (Chris Christie e Glenn Youngkin) e l’ex vicepresidente Mike Pence dovrebbero entrare in campo a breve.

Tra i democratici a contendere la nomination all’ottuagenario Biden (in perenne disfavore nei sondaggi), ci sono a oggi la progressista Marianne Williamson e il Kennedy ambientalista, virato in complottista anti-vax, Robert Kennedy Jr.

Un auspicio meno che roseo per una campagna che sembra destinata a riproporre temi e retorica del 2016 e 2020 ma in versione, se possibile, più rancorosa e polarizzata e col prevedibile inedito contributo dell’intelligenza artificiale e del suo potenziale per la «falsificazione profonda» su un terreno già di per sé stremato e oltremodo volatile.