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Gli arabi americani puniscono i democratici

Un cartello con la scritta "Vota contro il genocidio" in Michigan - foto GettyImagesUn cartello con la scritta "Vota contro il genocidio" in Michigan – GettyImages

Stati uniti La frattura sul medio oriente. In Michigan votano Jill Stein: «Non sosteniamo il genocidio per un posto a tavola»

Pubblicato circa un'ora faEdizione del 7 novembre 2024

Una «pillola molto dura da ingoiare» il voto a Kamala Harris, eppure necessaria: lo dichiara ad Al Jazeera Ali Dagher, attivista democratico. Firmatario e promotore di una lettera di arabi americani in sostegno a Harris, Dagher auspicava di collaborare con i democratici per spingere la candidata presidente a cambiare la politica statunitense su Israele e Palestina.

Questo non è bastato, però, a garantire il voto degli arabi alla candidata dem, né sono valse le pesanti dichiarazioni di Trump sull’appoggio incondizionato al premier israeliano Netanyahu e sull’eliminazione della «propaganda anti-israeliana» nel paese. Men che meno le trumpiane campagne di intimidazione per scoraggiare le piazze pro Palestina, che da un anno smuovono gli Stati uniti. Gli arabi americani non si sono sentiti rappresentati da nessuno dei due principali pretendenti alla Casa bianca, e questo potrebbe segnare una nuova, profonda frattura con il partito democratico, a cui da tempo erano legati. Dopo il sostegno al repubblicano George W. Bush, la comunità arabo-americana si è velocemente spostata verso i democratici, complici la guerra condotta dagli Stati uniti in Iraq, nel 2003, e la cosiddetta «guerra al terrorismo».

E PROPRIO con il partito democratico sono stati eletti alcuni commissari di contea e legislatori statali arabo-americani, in questi anni. Caso emblematico è il Michigan, tra gli Stati in bilico di queste elezioni. È lì che la deputata Rashida Tlaib, prima donna di origine palestinese al Congresso degli Stati uniti, è stata rieletta martedì per un quarto mandato come rappresentante dello Stato nordorientale, con il largo sostegno di Dearborn, la città del Michigan a maggioranza arabo-americana più grande degli Stati uniti.

Insieme ad Abdullah Hammoud, sindaco di Dearborn e parte, anche lui, della Camera dei rappresentanti del Michigan, Tlaib si è pubblicamente rifiutata di appoggiare Kamala Harris per via delle sue posizioni ambigue sull’invasione israeliana a Gaza e sulla mancanza di un piano concreto per superare il conflitto.

I primi risultati, dunque, suggeriscono che gli elettori del Michigan hanno usato le urne per esprimere frustrazione nei confronti della gestione della guerra a Gaza da parte dell’amministrazione Biden, di cui Harris sarebbe stata prosecutrice.

Il voto degli arabo-musulmani a Dearborn è costato il Michigan alla candidata democratica, che comunque non avrebbe raggiunto il numero di voti necessari per battere l’avversario repubblicano. «Dopo che ci ha ignorato su Gaza, forse questa notte servirà da lezione: un “posto a tavola” non vale la pena di essere collegati a un genocidio», ha dichiarato su X Khaled Beydoun, professore di diritto all’università di Detroit Mercy, in Michigan.

UN DISCRETO CONSENSO è stato espresso, invece, nei confronti di Jill Stein, candidata del partito dei verdi che in queste settimane è apparsa in pubblico e sui social con la kefiah al collo, parlando di «convergenza di valori e istanze tra il mondo musulmano e i verdi», e rivendicando le richieste di boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni a Israele che i suoi portano avanti dal 2006. In uno dei suoi post ha scritto che «i partiti istituzionali ci hanno deluso. Lavorano per Wall Street e per la macchina da guerra, spendendo miliardi di dollari in guerre senza fine mentre i lavoratori lottano e il mondo brucia. Basta. È tempo di dimenticare il “male minore” e di lottare per il bene superiore». Posizione chiara e radicale che ha convinto gli arabi d’America.

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