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La tassa sulle elemosine riaccende il conflitto tra gli Ortega e il Vaticano

La tassa sulle elemosine riaccende il conflitto tra gli Ortega e il VaticanoDaniel Ortega – Foto Ap

Tregua finita in Nicaragua Ancora sette sacerdoti espulsi. Bergoglio rompe il silenzio, ma sembra rassegnato

Pubblicato circa un mese faEdizione del 28 agosto 2024

Erano mesi che in Vaticano si osservava un incomprensibile silenzio sul Nicaragua nonostante seguitasse la feroce persecuzione nei confronti della chiesa cattolica, che ha portato (dalla rivolta popolare del 2018) all’incarceramento e successiva espulsione di due vescovi, 154 sacerdoti e 91 suore, privati pure della cittadinanza. Come che fosse intercorso una sorta di tacito accordo di non belligeranza fra il regime del presidente Daniel Ortega e la Santa Sede. Riserbo assoluto osservato in primis dallo stesso arcivescovo metropolitano di Managua, cardinal Leopoldo Brenes.

«Nel timore che l’intero paese possa rimanere del tutto senza preti» ci aveva paventato nel luglio scorso su queste pagine l’ex comandante guerrigliera sandinista Dora Maria Téllez (anch’essa da tempo in esilio). Tanto che nella diocesi rurale di Matagalpa i preti sono stati ridotti a un quarto. Ebbene gli arresti di presbiteri sono ripresi con lena. E altri sette di loro sono stati deportati col primo aereo verso lo stato pontificio. Paiono salvarsi solo i religiosi filo orteguisti o i ricattabili, compreso qualche prelato.

NON SOLO. Dopo aver cacciato il nunzio apostolico (e congelato le relazioni diplomatiche), chiuso le emittenti radio cattoliche, proibito le processioni al di fuori dei luoghi di culto, confiscato i beni ecclesiastici ed espropriato (esattamente un anno fa) l’università dei gesuiti, è arrivata la ciliegina sulla torta: la tassa sulle elemosine. La vicepresidente (e consorte) di Ortega, Rosario Murillo, ha infatti introdotto una norma che estende il regime fiscale dell’economia privata anche alle istituzioni religiose e a qualsiasi donazione (con imposte dal 10 al 30%).

NON SI SALVANO neppure le chiese evangeliche. Inclusi i predicatori delle sette fondamentaliste, che pure in certe circostanze erano stati persino promossi dalla dinastia degli Ortega proprio in contrapposizione agli ecclesiastici cattolici. Mentre l’esoterica doña Rosario, prima ministra a tutti gli effetti, nei suoi discorsi radio/tv di ogni mezzogiorno, si erge a unica tenutaria della fede nel dio “todo poderoso”.
Il tutto ha indotto domenica scorsa papa Francesco in San Pietro a uscire da questo silenzio: «All’amato popolo del Nicaragua: vi incoraggio a rinnovare la speranza in Gesù; ricordate che lo Spirito Santo guida sempre la storia verso progetti più alti; la Vergine Immacolata vi protegga nei momenti di prova e vi faccia sentire la sua tenerezza materna».
Frasi timide, rassegnate, come che non ci sia più niente da fare. Quando lo scorso anno il pontefice argentino si era avventurato a paragonare Ortega a Hitler.

COME SE NON BASTASSE, oltre a ogni fede religiosa e all’azzeramento di qualsiasi residuo barlume di opposizione, il regime ha messo al bando altre 1.500 ong, che si aggiungono alle oltre 3.500 chiuse ed espropriate dei propri beni dal 2018. Dove per ong non si intendono solo le organizzazioni non governative senza fini di lucro legate alla cooperazione internazionale, e dunque agli ormai tanto famigerati “agenti stranieri” (di putiniana memoria). Ma della società civile e dell’associazionismo in generale sul territorio: sindacale, imprenditoriale, di entità culturali, del mondo del volontariato, indigene, sportive… Con l’obbligo per quelle superstiti di «collaborare con lo stato». Il che ha provocato «profonda preoccupazione» presso l’Alto commissariato per i Diritti umani dell’Onu.

Da ultimo Rosario Murillo è arrivata a esautorare nientemeno che il capo della scorta del marito Daniel (di fatto ormai assente) quale ennesima purga di funzionari pubblici, della polizia e dell’esercito di cui non si fida. Oltre ad aver sottoposto agli arresti domiciliari il proprio cognato, generale Humberto, ex capo dell’esercito durante e (per un periodo) anche dopo la rivoluzione.

DEL RESTO IL NICARAGUA è ormai equiparabile a una Corea del Nord in chiave latinoamericana, dove però è ancora permessa (anzi incoraggiata) l’emigrazione. E per un motivo preciso: sono le rimesse familiari (ammontate lo scorso anno a quasi 5 miliardi dollari) che salvano il bilancio delle famiglie e dell’intera economia nicaraguense.

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