Messico, i giudici in sciopero a oltranza contro la riforma di Obrador
America Latina Tutti i giudici federali e della Corte suprema dovrebbero essere eletti dalla popolazione. Attualmente gli 11 ministri della Corte suprema, che provvedono a nominare i giudici delle corti inferiori, vengono proposti dal presidente e nominati dal Senato
America Latina Tutti i giudici federali e della Corte suprema dovrebbero essere eletti dalla popolazione. Attualmente gli 11 ministri della Corte suprema, che provvedono a nominare i giudici delle corti inferiori, vengono proposti dal presidente e nominati dal Senato
Che in Messico il sistema giudiziario attraversi una crisi profonda lo sanno tutti, e molti a proprie spese. Secondo il ricercatore di Human Rights Watch Tyler Mattiace, i cittadini, nel 90% dei casi, non si preoccuperebbero nemmeno di denunciare i crimini. Tuttavia, la riforma costituzionale proposta dal presidente uscente Andrés Manuel López Obrador e sostenuta dalla presidente eletta Claudia Sheinbaum, in base a cui tutti i giudici federali e della Corte suprema dovrebbero essere eletti dalla popolazione, rischia di fare solo ulteriori danni.
Di questo, almeno, sono convinti più di 1.200 giudici e magistrati (su circa 1.650) e buona parte dei 55mila impiegati dei tribunali, i quali, da mercoledì scorso, sono entrati in sciopero a tempo indefinito per protestare contro la riforma, che López Obrador vorrebbe fosse analizzata dal Congresso a settembre, prima della sua uscita di scena.
Di fronte alla massiccia partecipazione allo sciopero, Amlo, come viene chiamato il presidente, non si è scomposto: «Rispetto il loro diritto a manifestare», ha dichiarato, escludendo qualsiasi forma di repressione. Ma senza rinunciare a una frecciata velenosa: «Non succede nulla di grave con la loro iniziativa, tanto già non fanno nulla per la popolazione. Direi che, al contrario, se i giudici non sono operativi, almeno non fanno uscire i criminali dal carcere».
Attualmente gli 11 ministri della Corte suprema vengono proposti dal presidente e nominati dal Senato – per un mandato rinnovabile di 15 anni – sulla base di qualifiche, titoli di studio e anni di esperienza, ed essi a loro volta provvedono a nominare i giudici delle corti inferiori. Un sistema che è andato incontro alle crescenti critiche di Amlo e dei suoi alleati, secondo i quali il passaggio da un sistema di nomine a uno elettivo obbligherebbe i giudici a rendere conto del loro operato alla popolazione, mettendo fine a corruzione e privilegi.
Critiche, quelle del presidente uscente – peraltro già noto per i suoi pessimi rapporti con la stampa -, che sarebbero diventate assai più aspre, malignano i suoi avversari, dalla fine del 2022, quando la presidenza della Corte suprema era passata da Arturo Zaldívar, considerato molto vicino al presidente, a Norma Lucía Piña Hernández, rivelatasi assai più ostica.
Per diversi giuristi, tuttavia, la riforma, che ha già suscitato le preoccupazioni degli investitori nazionali e stranieri, finirebbe per politicizzare la magistratura, rendendola più dipendente dal governo, oltre che più vulnerabile a possibili finanziamenti da parte di gruppi di interesse o, peggio ancora, della criminalità organizzata. Difficile infatti evitare, spiegano, che i candidati alla carica di giudice, per avere più chance di vincere le elezioni, non si schierino con il partito di maggioranza, ossia con quello di López Obrador, Morena. E che, dunque, ad avere la meglio non siano i giudici più qualificati ed esperti ma quelli con maggiori entrature e più spiccate doti comunicative. «Giudicare non è una questione di popolarità», si legge, non a caso, in uno striscione appeso sul palazzo del tribunale federale di Città del Messico.
Ma, anche al di là di tali criticità, per non pochi esperti di diritto la riforma non servirebbe affatto a contrastare l’impunità dilagante e ad assicurare un migliore accesso alla giustizia. L’anello debole del sistema giudiziario – in un paese con oltre 100mila persone scomparse e un tasso di omicidi tra i più alti al mondo – non è rappresentato, evidenziano, dalle corti superiori, ma dai pubblici ministeri e dalla polizia, di cui è ben nota la lunga lista dei mali: scarsi investimenti nella formazione, mancanza di risorse di base, sistemi arbitrari di assunzione, inefficienza, carenza di meccanismi di controllo, infiltrazioni criminali. Secondo Tyler Mattiace, dei 2,2 milioni di indagini aperte nel 2022, solo il 10%, pari a 238mila casi, sono arrivate davanti a un giudice. E queste, oltretutto, «basate spesso su prove fragili o dichiarazioni ottenute tramite minacce o torture».
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