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La «scelta» tunisina: la morte nel deserto o la deportazione

La «scelta» tunisina: la morte nel deserto o la deportazioneUn gruppo di migranti deportati al confine tra Tunisia e Libia – Ap/Yousef Murad

Tunisia Il ruolo di Tunisi e dell'Oim nella crisi: centinaia di migranti ricollocati a sud e la domanda dei funzionari Onu: «Vuoi tornare nel tuo paese?». La Ue intanto manda pacchi di aiuti a pochi giorni dal memorandum anti-migrazioni

Pubblicato più di un anno faEdizione del 27 luglio 2023

«Non ci sarà nessun passo indietro». In occasione della festa della Repubblica e nell’anniversario del colpo di forza del 25 luglio 2021 con cui si è garantito il controllo totale della Tunisia, il presidente della Repubblica Kais Saied ha voluto rincuorare i suoi concittadini.

Forte di un consenso popolare ancora forte, con cinque parole pronunciate durante un giro di approvazioni per le vie centrali di Tunisi, il responsabile di Cartagine si è mostrato convinto delle sue decisioni al netto di una situazione catastrofica che sta interessando il paese a livello economico, sociale e soprattutto migratorio.

UNA FOTO IMMORTALA Saied scambiare qualche battuta con due persone di origine subsahariana nella medina della capitale. La stessa origine di coloro che da quasi un mese si sono visti togliere tutto ed essere gettati lungo il confine libico e algerino senza risposte ma anche senza acqua e cibo.

Dal 2 luglio scorso le forze di sicurezza tunisine si sono rese protagoniste di vere e proprie campagne di arresti di massa di cittadini originari dell’Africa subsahariana e del Sudan nella città di Sfax, secondo centro del paese e punto principale della rotta tunisina verso Pantelleria e Lampedusa. Da allora più di mille persone sono state caricate su dei bus e lasciate letteralmente a loro stesse in zone militarizzate e desertiche.

Le ultime ricostruzioni parlano ancora di quasi mille persone ancora bloccate in quella terra di nessuno. In un gioco delle parti solo all’apparenza inspiegabile le autorità libiche, le stesse accusate di ogni tipo di violazione dei diritti umani, hanno cominciato a diffondere immagini di salvataggi lungo il deserto. Tra di loro ci sono genitori con bambini e neonati in braccio e donne incinte che per giorni non hanno bevuto una sola goccia d’acqua.

Altre foto riportano la morte di almeno cinque persone rintracciate sempre dalle cosiddette forze di sicurezze della Libia. La causa è la forte disidratazione con le temperature che in questi giorni in quell’area hanno superato i 50 gradi.

GLI UNICI altri attori che hanno accesso alla frontiera libica sono la Croce rossa tunisina e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim): «Ieri Oim Libia ha provveduto a fornire assistenza umanitaria a 400 persone al confine con la Tunisia.

Con l’aiuto della Croce rossa libica, l’Oim ha garantito cibo e acqua potabile in una risposta congiunta con l’Unicef», si legge in un tweet del 24 luglio dell’Oim con alcune foto a corredo dei pacchi di cibo con sopra la bandiera dell’Unione europea. La stessa istituzione che domenica 16 luglio ha concluso un memorandum d’intesa con il presidente Saied senza che venissero mai citate le deportazioni di massa ancora in corso in Tunisia.

Nel frattempo, mentre la scorsa settimana ha registrato il dato più alto di sempre per quanto riguarda le partenze dal piccolo Stato nordafricano (7.359, fonte Ispi), comincia a emergere la logica dietro a questi respingimenti che hanno portato a decine di morti. Sono centinaia le persone che dal deserto sono state poi ricollocate in alcune città del sud tunisino come Ben Gardane, Tataouine e Médenine e sistemate in alcuni centri dell’Oim, scuole o anche fabbriche abbandonate.

Come a Médenine dove 80 persone nei giorni scorsi si sono trovate in un luogo pattugliato da alcuni agenti della Garde Nationale. All’interno alcuni materassi sporchi gettati a terra e due punti di registrazione organizzati dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Tra le varie domande poste ce n’è una in particolare: «Vuoi procedere con il ritorno volontario nel tuo paese?».

UNA RISPOSTA che dopo giorni passati a subire lanci di gas lacrimogeni da parte delle autorità tunisine, pestaggi, furti di soldi e telefoni e senza bere un goccio d’acqua sembra all’apparenza scontata.

Alla situazione migratoria va aggiunta la crisi climatica, altro fattore di grande instabilità per la Tunisia. Migliaia di persone hanno dovuto abbandonare le proprie case nella zona di Tabarka, nel nord ovest del paese, per alcuni imponenti incendi divampati in un primo momento in Algeria.

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