Guido Crosetto, in Libano, quando ha incontrato il contingente italiano dell’Unifil un anno fa foto Ansa
Guido Crosetto, in Libano, quando ha incontrato il contingente italiano dell’Unifil un anno fa – foto Ansa
Politica

La rabbia del governo: «Un crimine di guerra»

Israele/Libano Crosetto convoca l'ambasciatore israeliano
Pubblicato circa un mese faEdizione del 11 ottobre 2024

«Inaccettabile». Di più: l’attacco di Israele contro le basi Unifil in Libano si può considerare come «un possibile crimine di guerra». E non importa se alle truppe dell’Onu era stato chiesto di «ricollocarsi» abbandonando le basi per lasciare il passo ai soldati dell’Idf: «Le Nazioni unite e l’Italia non possono prendere ordini da Israele», quasi scandisce nel pomeriggio Guido Crosetto.

Per quanto contenuta, nelle parole del ministro della Difesa si la rabbia per l’attacco subito dal contingente internazionale, del quale fanno parte 1.200 soldati italiani, da parte di un governo da sempre considerato amico e al quale l’Italia non ha fatto mai mancare il suo sostegno. Nell’arco di una manciata di ore, dai colpi di fucile sparati mercoledì sera fino a quelli ben più micidiali di carro armato di ieri mattina, tutto invece è precipitato spalancando le porte a scenari a questo punto imprevedibili. Perché una cosa Crosetto l’ha ben chiara in testa: quanto accaduto «non è un errore né un incidente» spiega, più un avvertimento di qualcosa che potrebbe ripetersi. Una possibilità che diventa quasi certezza in serata con le parole dell’ambasciatore di Israele all’Onu, Danny Danon, che avverte: «Ci concentriamo sulla lotta contro Hezbollah. La nostra raccomandazione è che l’Unifil si sposti di 5 chilometri a nord per evitare pericoli mentre i combattimenti si intensificano».

SONO ORE CONVULSE quelle che si susseguono da quando cominciano ad arrivare le prime, drammatiche notizie dal Libano. Al termine del consiglio dei ministri che si tiene in mattinata il ministro della Difesa incontra la premier Meloni (che nel pomeriggio sente al telefono il comandante del Settore Ovest della missione Unifil, generale Messina, per un aggiornamento sulla missione) e il collega degli Esteri Tajani per un primo punto sul da farsi. Insieme decidono che sia lui a muovere i primi passi della diplomazia. Scrive al sottosegretario generale dell’Onu alle operazioni di pace Jean Pierre Lacroix ribadendo la volontà dell’Italia ad agire per un’azione di pace sollecitando però un ruolo più attivo da parte delle Nazioni unite. Ma soprattutto chiama al telefono l’omologo israeliano Yoav Gallant e convoca l’ambasciatore di Israele in Italia Jonathan Peled. A entrambi chiede conto di quanto accaduto, un atto di guerra reso ancora più grave, dice, dal fatto che «non c’erano motivazioni militari». Colloqui che però non vanno come si spera visto che da nessuno dei due ottiene risposte soddisfacenti. «Abbiamo raccomandato più volte ai militari italiani – dice anzi l’ambasciatore – di ritirare parte delle loro forze ma purtroppo la richiesta è stata respinta».

Parole che suonano quasi come una provocazione, al punto che nel pomeriggio, in una conferenza stampa convocata a Palazzo Chigi, Crosetto è costretto ad ammettere: «Abbiamo bisogno di spiegazioni rapide. Aspetto la verità». «Non è concepibile – aggiunge il ministro Tajani – che ci sia stato un colpo di carro armato contro una base Unifil. Occorre fare in modo che quanto accaduto non succeda mai più». Da palazzo Chigi si formalizza in serata tutto il disappunto del governo: «Quanto sta accadendo nei pressi della base del contingente Unifil – fanno sapere dallo staff di Giorgia Meloni – non è ammissibile».

LA PROSSIMA SETTIMANA si terrà una riunione tra Francia, Spagna, Italia e Irlanda, alcuni dei quaranta paesi che forniscono militari a Unifil. Intanto già ieri Parigi, Madrid e Dublino hanno condannato l’azione israeliana insieme all’Unione europea e all’Onu. La questione, però, è capire come agire e cosa accadrà adesso: l’ipotesi di un ritiro del contingente italiano al momento non è presa neanche in considerazione dal governo: «Non è una decisione che l’Italia può prendere in maniera unilaterale e poi sarebbe un segnale devastane per la popolazione libanese», spiegano dalla Difesa. Per ora, quindi, non cambierà niente. «Se poi – spiega in seguito il ministro – succederà qualcosa e si supererà una linea che non consente di garantire la sicurezza che ancora oggi sembra possibile della missione Onu, a quel punto l’Onu prenderà decisioni di cui noi saremo partecipi».

Cosa diversa è fare in modo che le Nazioni unite modifichino il mandato della missione come chiede l’Italia ma come, da tempo, chiede anche Israele che vorrebbe i peacekeeper più attivi nel combattere le milizie di Hezbollah, ricevendo però sempre un rifiuto netto: noi – è la sostanza della risposta – non combattiamo la guerra di Israele.

DIVERSA LA POSIZIONE italiana. Per poter mantenere una zona di sicurezza tra il confine libanese e quello israeliano l’Unifil dovrebbe avere maggiore autonomia. Oggi, spiegano sempre alla Difesa, i militari non possono fermare una macchina o perquisire una casa se non vengono accompagnati dall’esercito libanese, che però è sempre più demotivato. Poter agire da soli consentirebbe un maggior controllo sull’attività di Hezbollah.
Tutte questioni sule quali probabilmente si avranno maggiori certezze nei prossimi giorni. Nel frattempo lo scontro con Israele però continua.

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