Il ministro per il patrimonio culturale israeliano Amihai Eliyahu domenica ha citato il lancio di una bomba atomica su Gaza come «una delle possibilità» a disposizione di Israele. Il premier Benjamin Netanyahu ha dovuto prendere immediatamente le distanze dal suo ministro affermando che «Israele e il suo esercito operano secondo i più alti standard del diritto internazionale per prevenire danni ai civili non coinvolti» (sic). Lo stesso Eliyahu ha spiegato che si trattava di un’affermazione «metaforica», anche se ha ribadito la necessità di una risposta «forte e sproporzionata» (sic) da parte di Israele. Alla fine Eliyahu è stato sospeso dal suo incarico di governo, ma non costretto alle dimissioni come molti si attendevano sia dentro che fuori da Israele.

La minaccia di Eliyahu non viola solo il diritto internazionale, che i bombardamenti indiscriminati su Gaza già stracciano ogni giorno, ma infrange anche il patto del silenzio che da sempre vige in Israele sul suo arsenale atomico. Secondo la posizione ufficiale di Tel Aviv, Israele non sarebbe stato il primo Paese a introdurre la bomba atomica in Medio Oriente, sottintendendo che la minaccia nucleare arriva soprattutto dall’Iran. Ma che Israele disponga della bomba è un segreto di Pulcinella.

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IL PAESE È DA SEMPRE incluso tra le potenze nucleari per la presenza sul suo territorio di reattori sperimentali, l’unica tecnologia nucleare di cui dispone ufficialmente. In realtà, nel centro di ricerca nucleare di Dimona, nel deserto del Negev, Israele ha realizzato un programma militare con cui si è dotato di un numero di testate stimato tra 40 e 600, con i relativi sistemi missilistici. Il programma ebbe inizio alla fine degli anni ‘50, quando con l’aiuto segreto della Francia Israele costruì a Dimona il primo reattore ufficialmente a scopo civile. Il 5 ottobre del 1986, l’inglese Sunday Times pubblicò le rivelazioni documentate fotograficamente di Mordechai Vanunu, un ex-tecnico di Dimona, secondo cui nel centro di ricerca era stato prodotto plutonio a sufficienza per realizzare un centinaio di bombe atomiche.
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Ancora prima che l’articolo fosse pubblicato Vanunu fu però arrestato a Roma dal Mossad, il servizio segreto isreaeliano, e condannato a 18 anni di reclusione di cui 11 passati in isolamento. Dal 2004 Vanunu è libero, si fa per dire: non può parlare con i giornalisti né lasciare Israele, perché Tel Aviv teme che riveli altri dettagli del programma nucleare israeliano.

Le affermazioni di Vanunu, tuttavia, vengono periodicamente confermate da testimoni diretti e indiretti, o dalle gaffe degli stessi politici israeliani. Nel 2014, ad esempio, l’ex-presidente statunitense Jimmy Carter intervistato dal network statunitense Msnbc disse candidamente che «Israele ha 300 bombe nucleari, o forse più. Nessuno sa quante ne ha esattamente». Carter doveva però essere ben informato: nel 1968, quasi vent’anni prima delle rivelazioni di Vanunu, la Cia aveva già avvertito la Casa Bianca dell’esistenza della bomba israeliana.

L’AMMISSIONE contenuta nella minaccia di Eliyahu a proposito di Gaza non è comunque il primo incidente che capita a un leader israeliano. Lo stesso Netanyahu nel gennaio del 2020 in un discorso pubblico pronunciò la frase «Stiamo trasformando Israele in una potenza nucleare», un attimo prima di fermarsi. «Scusate, in una potenza energetica» si corresse con un sorriso imbarazzato. Stava annunciando un accordo con Grecia e Cipro per il passaggio del gasdotto Eastmed-Poseidon che collegherà Israele e Italia. Ma molti osservatori lessero nella gaffe un’ammissione involontaria.