Le famiglie delle vittime della strage di Cutro hanno declinato l’invito “riparatore” a palazzo Chigi della premier: «Non ha più senso. Ci saremmo aspettati una visita quando tutto il governo era a Cutro». Lo sgarbo è stato in effetti offensivo e plateale ed è impossibile credere che una politica di lungo corso come Meloni non se rendesse conto. La sua è stata una scelta precisa, come del resto quella di usare toni questurini e gelidi, opposti a quelli della lettera inviata subito dopo la tragedia alla Ue.

Dopo giorni di esitazione e indecisione, la leader della destra ha scelto di spostarsi di nuovo, almeno sul piano dell’immagine, sul versante ringhioso della sua coalizione. Quello dove campeggia un Salvini che a Cutro ostentava l’espressione beata del gatto saziatosi col topo ma dove figurano anche moltissimi alti ufficiali di FdI e della stessa Lega.
Insomma, Giorgia Meloni non se la è sentita di sfidare gli umori della sua gente sul fronte più identitario che ci sia per quella destra. Se lo abbia fatto per placare la tensioni interne con la Lega o per paura di deludere una base alla quale la politica dei respingimenti sembra sacrosanta in fondo è secondario ma si capirà solo nei prossimi giorni quanto di quell’immagine sia propaganda e quanto sostanza. Di certo Matteo Salvini ha ottenuto un successo evitando lo scippo della sorveglianza marittima, che l’inquilina di palazzo Chigi sognava di togliere a lui e a Piantedosi per passarlo al fedelissimo ministro della Difesa Guido Crosetto. Però è stata una parata, non un goal.

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A Cutro con le vittime della strage

Più sostanziosa la promessa di restringere subito e poi eliminare la protezione speciale, bestia nera del Carroccio e oggetto principale della proposta Iezzi-Molinari incardinata a Montecitorio che ora la Lega sarebbe disposta a ritirare. Per valutare il peso delle restrizioni, però, bisognerà attendere il testo del decreto, firmato ieri dal presidente Mattarella.

Soprattutto però per valutare in pieno il quadro sarà necessario aspettare i decreti flussi. La strategia di Meloni si muove in direzioni opposte: allargamento delle maglie sull’immigrazione legale e repressione selvaggia di quella illegale, secondo il sillogismo accettato quasi da tutti per cui illegale e criminale sono sinonimi. Ma certo se i flussi saranno di 500mila persone l’anno, come prometteva Lollobrigida, o di 83mila, come ipotizza Piantedosi, la differenza sarà decisiva. Anche su questo fronte, peraltro, la premier ha adoperato a Cutro un approccio di fondo non dissimile da quello della coppia Salvini-Piantedosi: tra il «carico» del ministro degli Interni e le braccia a basso prezzo necessarie alle aziende non c’è grande differenza di approccio. Solo un diverso calcolo dei vantaggi che un «carico» cospicuo comporterebbe.

La scelta della premier, non a caso arrivata dopo lunga esitazione, rischia però di guastare il neonato idillio con la Ue. L’Unione è assolutamente ostile alla politica dei respingimenti ma su quel fronte il governo italiano ha già cambiato strada e difficilmente tornerà sui propri passi. Il ritorno alla ferocia ostentata offre però armi a quella parte del Ppe contraria all’abbraccio con i Conservatori a cui punta Weber.

Ma il guaio serio è un altro: la tragedia e la richiesta italiana di affrontare subito la questione hanno offerto ai Paesi del nord Europa l’occasione per mettere alle strette l’Italia sui «movimenti secondari», cioè sulla chiusura rigida delle frontiere a nord. Mercoledì il Parlamento europeo discuterà di Cutro ed è facile prevedere che il governo italiano non ne uscirà bene. Poi, nel Consiglio del 23 marzo, un gruppo di Paesi tra cui Francia, Germania e Olanda intimerà all’Italia di blindare i confini se vuole un aiuto per fermare sbarchi e arrivi.