«La protezione speciale ha un fondamento costituzionale e perciò non è abrogabile», dice Silvia Albano, giudice presso il tribunale civile di Roma nella sezione specializzata in diritti della persona e immigrazione. Albano è componente del comitato direttivo centrale dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) e dell’esecutivo nazionale di Magistratura democratica.

La giudice Silvia Albano

Il Senato ha votato la stretta sulla protezione speciale. Cosa cambia?

L’articolo 7 della legge elimina la parte della protezione speciale che tutela la vita privata e familiare. Questo però è un diritto fondamentale previsto anche dalla Cedu e dalla Carta dei diritti fondamentali Ue, quindi non si può cancellare. Poi restringe le altre due ipotesi specifiche dell’art. 19 del Testo unico immigrazione: i permessi per cure mediche e calamità naturali. Inoltre l’emendamento approvato stabilisce che il permesso per protezione speciale non sarà convertibile in quello per lavoro. La ratio di questa disposizione è incomprensibile. In genere chi ottiene la protezione speciale è integrato nel tessuto sociale e lavorativo. Se ha i requisiti per la conversione significa che ha un impiego. Perché gli si dovrebbe negare?

Ha citato le convenzioni internazionali. Inizialmente il governo voleva cancellare il riferimento agli obblighi che derivano da quelle e dalla Costituzione.

Credo fossero consapevoli che probabilmente la legge non sarebbe stata promulgata. Già con il decreto Salvini il Presidente della Repubblica scrisse una lettera in cui affermava che gli obblighi costituzionali e internazionali dello stato italiano restavano comunque fermi. La parte abrogata con il «decreto Cutro» era una specificazione di uno di questi obblighi (art. 8 Cedu), che sono molto ampi. Quindi la protezione speciale potrà comunque essere concessa a tutela di tutti i diritti fondamentali degli stranieri.

Secondo il governo bastano asilo politico e protezione sussidiaria.

Non è così. Su questo c’è un’elaborazione giurisprudenziale della Cassazione e della Consulta secondo cui la protezione speciale, che prima si chiamava umanitaria, è il completamento del diritto d’asilo previsto dall’art. 10 comma 3 della Costituzione. Quell’articolo ha una formulazione ampia che non può essere ridotta a status di rifugiato o protezione sussidiaria. Secondo tale norma, hanno diritto d’asilo in Italia gli stranieri ai quali sia impedito nel paese d’origine l’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana. Secondo la dottrina costituzionalistica e la Consulta, l’ampio concetto di libertà democratiche comprende i diritti fondamentali previsti dalla Carta. La protezione speciale ha un fondamento costituzionale, è espressione del diritto fondamentale di asilo che certo non è abrogabile con legge ordinaria.

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L’altro provvedimento governativo sul tema immigrazione si è concentrato sulle navi Ong. Finora ha prodotto due fermi. Secondo lei ha dei profili di illegittimità?

Il cosiddetto «decreto Piantedosi», poi convertito in legge, normativizza una sorta di codice di condotta per le Ong che potrebbe andare in rotta di collisione con le convenzioni internazionali sull’obbligo di soccorso. Perché questo è assoluto, come assoluto è il diritto alla vita. Significa che non può essere limitato, nemmeno da un codice di condotta. Le prescrizioni che contiene rischiano di costituire in realtà ostacoli alle attività di salvataggio delle Ong. Poi prevede obblighi inesigibili, come assicurare a bordo la possibilità di chiedere asilo. Mentre il dovere di raggiungere il porto assegnato senza ritardi vuole dichiaratamente evitare che la Ong che trovi sulla sua rotta una barca in pericolo possa intervenire, in violazione della convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare e della Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare. In acque territoriali violerebbe anche le norme penali del codice della navigazione.

La legge è formulata in modo da prestarsi a diverse interpretazioni sui mezzi di ricorso. Il governo è riuscito a escludere la magistratura togata?

Con la nuova legge si torna al regime sanzionatorio di tipo amministrativo dei decreti Salvini (con sanzioni pecuniarie enormi). Così si ritarda l’intervento del giudice, mentre la sanzione viene adottata subito. Dal prefetto o dall’autorità portuale. In questo modo, se alla presentazione del ricorso il giudice nega la sospensiva, la misura rimane comunque in vigore e nel caso del fermo non si può usare la nave. Inoltre il giudizio pendente può avere un impatto anche sull’eventuale valutazione della recidiva da parte dell’autorità amministrativa. In pratica potrebbero essere disposte sanzioni più pesanti, fino alla confisca della nave, senza che ci sia ancora stato il pronunciamento del giudice sul primo ricorso.

Intanto il Viminale ha adottato la prassi di assegnare porti lontanissimi. È legittimo costringere le navi delle Ong, e solo loro, a percorrere centinaia di chilometri per far sbarcare i naufraghi?

No, perché la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (Solas) prevede l’assegnazione del porto che può essere raggiunto con la minima deviazione della rotta per la nave che ha prestato soccorso, con il minor aggravio anche per le persone salvate. Questo significa che deve essere il porto sicuro più vicino. Le persone vanno sbarcate e assistite lì, poi possono essere trasferite nei centri di accoglienza sul territorio nazionale con i mezzi che lo Stato deve mettere a disposizione.