In meno di 12 ore e in un fazzoletto di mare di appena 35 chilometri quadrati la Geo Barents di Medici senza frontiere (Msf) ha salvato oggi 315 persone in sei soccorsi. Solo due le segnalazioni dal centralino Alarm Phone. Le altre quattro barche sono state avvistate dal ponte della nave. Segno che in questo momento nel Mediterraneo i barconi in viaggio potrebbero essere molti di più. Siria, Egitto, Eritrea e Bangladesh le principali nazionalità, seguite da Camerun, Sudan, Sud Sudan, Ghana, Gambia, Chad, Pakistan e Marocco. I minori sono 73. «Quanto accaduto oggi conferma la necessità di un meccanismo istituzionale di ricerca e soccorso che abbia il chiaro mandato di salvare vite. Le Ong non possono e non devono riempire i buchi lasciati dagli stati che hanno firmato le convenzioni marittime internazionali», afferma Juan Matías Gil, capomissione a terra di Msf.

Alcune settimane fa la Geo Barents ha festeggiato il primo anno di attività nel Mediterraneo centrale. «Tornare in mare è un dovere», aveva detto a maggio 2021 l’allora presidente di Msf Italia Claudia Lodesani. Il 13 maggio di quell’anno la più grande e nuova delle navi umanitarie ha mollato gli ormeggi dal porto norvegese di Alisund.

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Era il periodo in cui le navi delle Ong venivano sottoposte a una raffica di Port state control (Psc) e fermi amministrativi da parte delle autorità italiane. Msf ha aiutato a far saltare quel meccanismo. Da subito ha comunicato che avrebbe rispettato le regole, se queste fossero state chiarite, ma non avrebbe accettato persecuzioni amministrative. Alla fine la nave battente bandiera norvegese ha subito una sola detenzione: ad Augusta, dal 2 al 27 luglio 2021.

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Lasciati annegare nella frontiera europea del sud: un anno di Geo Barents in mare è il rapporto con cui Msf tira le somme dei primi 12 mesi di attività. Tra giugno 2021 e maggio 2022 la nave ha svolto 11 missioni, realizzato 47 soccorsi e salvato 3.138 persone. Tutto questo è avvenuto nell’assenza di coordinamento da parte delle autorità e nella solitudine di un mare sguarnito dagli assetti istituzionali. «Gli stati costieri di Italia e Malta ignorano sistematicamente il loro obbligo di fornire assistenza alle barche in pericolo non mettendo in campo un’operazione di ricerca e soccorso dedicata a salvare vite nel Mediterraneo centrale», si legge nel report. Che aggiunge: «La pratica della non-assistenza è stata normalizzata».

Alle omissioni delle istituzioni si affiancano gli ostacoli al soccorso civile. È vero che la Geo Barents è stata colpita da un solo fermo amministrativo, ma complessivamente le è stato impedito di operare quasi un giorno ogni tre. 115 giorni in totale, di cui: 25 per la detenzione amministrativa; 45 per «quarantene discriminatorie»; altri 45 per stand-off in mare. Cioè lo stallo fuori dal porto in attesa di indicazioni su dove sbarcare. La nave ha dovuto attendere fino a un massimo di nove giorni prima di poter fare toccare terra ai naufraghi (in media 5,4 giorni).

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Prima del 2018 nessuna nave carica di naufraghi era costretta ad aspettare in mare. Le cose sono cambiate con l’avvento di Matteo Salvini al Viminale e la politica dei porti chiusi. Dopo la crisi del Papeete e il cambio al ministero i porti sono sempre stati assegnati, ma ogni volta solo al termine di attese più o meno lunghe. Queste da un lato limitano l’operatività delle navi, lasciando sguarnito il Mediterraneo. Dall’altro aumentano senza motivo le sofferenze di persone in fuga dall’inferno libico. «Sono preoccupato perché i miei parenti non hanno mie notizie da otto giorni. Avevo detto loro che stavo per prendere il mare. Non c’è nessuno che può informali che sono vivo e saranno molto preoccupati. Questo mi emoziona, ma le lacrime non escono. Mi sento triste dentro», ha raccontato un sedicenne del Gambia all’equipaggio della nave durante uno dei vari stand-off.

«Msf è indignata per la catastrofe umanitaria che la politica ha prodotto nel Mediterraneo centrale», è scritto in conclusione del rapporto. Il ritiro delle missioni istituzionali, l’abbandono a se stessi dei barconi, la cooperazione con i libici per i respingimenti illegali, gli ostacoli alle Ong non sono riusciti a fermare le partenze, come avrebbero voluto. Tutto questo, però, ha un costo umano altissimo, fatto «di orribili sofferenze e dolore». Per Msf è arrivato il momento di invertire la rotta. La gestione dei profughi ucraini mostra che è possibile. «Ogni vita deve essere protetta a prescindere da razza, genere, paese di origine, convinzioni politiche o religiose – scrive l’Ong – Tutti quelli che cercano sicurezza alle porte d’Europa deve essere trattato con lo stesso rispetto».