La fine del sogno americano alla cilena
I giorni della rivolta Le misure sociali promesse da Piñera, passato dalla «guerra» alle scuse, non bastano. Ieri sciopero generale. Marco Enriquez-Ominami: «In piazza sono scesi consumatori abusati, giovani furiosi e adulti indignati. Tutti indebitati in modo esplosivo da banche e retail»
I giorni della rivolta Le misure sociali promesse da Piñera, passato dalla «guerra» alle scuse, non bastano. Ieri sciopero generale. Marco Enriquez-Ominami: «In piazza sono scesi consumatori abusati, giovani furiosi e adulti indignati. Tutti indebitati in modo esplosivo da banche e retail»
In meno di una settimana Sebastián Piñera è passato dal «siamo in guerra» al «chiedo scusa ai miei compatrioti». La mimica da attore consumato è stata messa in scena martedì sera, quando il presidente ha annunciato una serie di misure che sembravano fare eco alle parole della first lady Cecilia Morel, la quale in una conversazione telefonica intercettata esponeva a un’amica la necessità di diminuire i «privilegi» e «condividere con gli altri» per resistere a «un’invasione straniera, aliena».
LE MISURE PROPOSTE vanno dall’aumento del 20% delle pensioni sociali (oggi intorno ai 150 dollari); un’assicurazione per le malattie economicamente insostenibili e farmaci convenzionati; un salario minimo di circa 470 dollari che implicherebbe un sussidio alle imprese che non riescono a garantirlo; la stabilizzazione del prezzo dell’energia elettrica; una tassa del 40% sui redditi più alti; il taglio degli stipendi dei parlamentari e altro.
Le critiche emerse hanno a che vedere con la mancanza di soluzioni di fondo. «Nessuna delle misure annunciate dal presidente prevede modifiche strutturali in materia di disuguaglianza sociale» dice Marcos Barraza – dirigente del Partito comunista ed ex ministro dello Sviluppo sociale nel governo Bachelet – di ritorno dall’enorme sciopero generale proclamato ieri. «L’aumento della pensione minima tocca 1 milione e 600 mila persone – prosegue -, il 60% più vulnerabile, ma il restante 40% non sta meglio, e questa dovrebbe essere una politica universale. Resta inalterato il sistema pensionistico privato. Aumenta il salario minimo non attraverso una legge della repubblica per cui è il datore di lavoro a farsene carico, bensì tramite un sussidio dello stato, e questo indurrà tagli ai finanziamenti verso altre politiche sociali. Si mantengono inalterati i parametri dell’economia neoliberista».
ALLO SCIOPERO HANNO ADERITO organizzazioni sindacali, confederazioni studentesche, docenti, lavoratori della sanità, portuali, attori e attrici. Movimenti di massa ma anche realtà di quartiere, che ogni giorno convocano mobilitazioni e cacerolazos.
Se l’aumento dei prezzi dei trasporti pubblici è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, portando a una «evasione di massa», è il caso di chiedersi cosa riempiva quel vaso. Per l’ex candidato presidente del Partito progressista, Marco Enríquez-Ominami, i cileni sono immersi nel vaso, con «un’economia che vive di materie prime – salmone, legno, rame – con poco valore aggregato e concentrate in poche mani, il che genera bassi redditi e una società senza diritti. È un sistema difficile in cui vivere perché la classe media si ritrova con redditi bassi e alti costi per educare i figli, per muoversi e per mangiare».
La legge 21.112 ha fissato per il 2019 il salario minimo a 420 dollari e sebbene la maggior parte dei lavoratori superi questa soglia, circa la metà del totale non arriva a 600 dollari. Secondo la Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi (Cepal) nel 2017 questo 50% possedeva solo il 2,1% della ricchezza netta, e l’1% più ricco concentrava il 26,5% della stessa. Anche il ministero per lo Sviluppo sociale riconosce che il 10% più ricco guadagna 39 volte di più del resto della popolazione.
LA DIAGNOSI SI AGGRAVA in una società che ha generato cittadinanza a partire dall’accesso al consumo: «Per anni questi settori medi impoveriti si sono indebitati a tassi elevati e con sanzioni draconiane di fronte ai ritardati pagamenti. Il risultato è il malessere silenzioso davanti a un’élite che cresce più velocemente del 90% del paese», aggiunge il co-fondatore del Gruppo Puebla – che riunisce leader progressisti dell’America Latina in contrapposizione al Gruppo di Lima.
Ominami si riferisce all’indebitamento in negozi e catene internazionali che oltre ai beni di consumo offrono carte di credito e prestiti, ma senza la stessa regolamentazione degli enti bancari. Per questo nelle mobilitazioni c’è una forte presenza di «consumatori abusati, giovani furiosi, movimenti sociali e adulti indignati. Tutti indebitati in modo esplosivo da banche e retail», e lo stato è «piccolo», non presente al momento di garantire i bisogni di base. Secondo Barraza «non è solo un fallimento del governo di Piñera, bensì del modello neoliberista. Le manifestazioni iniziano con un forte malessere tra gli studenti e le loro famiglie per gli aumenti sui trasporti pubblici ma rapidamente si estendono a una critica strutturale all’ordine economico vigente a partire dalla dittatura».
GLI ANNUNCI DI PIÑERA non sono stati accompagnati dalla revoca dello stato d’emergenza e del coprifuoco, al contrario hanno evidenziato il «lavoro difficile e di sacrificio delle forze armate». Mentre i dati ufficiali del governo parlano di 15 morti, sul finire della giornata di ieri le cifre raccolte tra commissariati, ospedali e manifestazioni, hanno confermato che almeno 11 persone, su un totale di 22, erano morte per mano di agenti dello stato, oltre a 535 feriti e 2410 fermati. Tuttavia le immagini che circolano su media e social lasciano presumere che i numeri siano più alti. Dalla transizione democratica i militari hanno assunto un ruolo nella sicurezza nazionale: «Per gli adulti, i militari rimandano al passato aberrante del golpe del 1973. Per i più giovani è la sfida a un ordine che non ha mantenuto la sua promessa: il sogno americano alla cilena», aggiunge Ominami.
QUESTA SETTIMANA, Camila Vallejo e Karol Cariola, deputate del Partito comunista, hanno presentato un progetto di legge per ridurre a 40 le attuali 48 ore di lavoro settimanali, mentre altri deputati del Pc hanno chiesto all’Onu l’invio di osservatori e durante la sessione molti deputati hanno chiesto la formazione di una commissione per i diritti umani per «essere all’altezza delle circostanze». Per Ominami «tutti i partiti sono superati. Il Cile ha una monarchia borbonica e napoleonica. Non vedo soluzione in questo sistema politico tranne un governo di unità nazionale, tenue, passivo, ma che costruisca una fredda, precoce e fragile pace sociale».
traduzione di Gianluigi Gurgigno
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento