Opera terza del cineasta iraniano Saeed Roustaee (dopo Life and a Day, del 2015, e Just 6.5, del 2019), Leila e i suoi fratelli (in sala da oggi dopo essere stato in concorso al festival di Cannes dell’anno scorso) nella sua durata di quasi tre ore è un avvolgente e stratificato ritratto familiare che, scena dopo scena e con stile classico, distribuisce le complesse dinamiche e trame che hanno per protagonisti i genitori, anziani e malati, i quattro fratelli, con lavori precari o disoccupati, e la sorella Leila il cui delicato compito è quello di impedire che la loro condizione sociale sull’orlo del collasso precipiti definitivamente. Un film corale, dunque, che porta in primo piano le molteplici strategie, che potrebbero sconfinare in azioni illegali, adottate da un gruppo di personaggi che sembra impossibile riusciranno a uscire da un «cul-de-sac» di debiti e instabilità quotidiane, a raggiungere un pur minimo stato di sopravvivenza, mentre menzogne da sempre tenute nascoste dal capofamiglia – il cui unico scopo è quello di diventare il patriarca del proprio clan di appartenenza a qualsiasi costo – affiorano nel corso di un dramma tanto profondamente radicato nel presente dell’Iran (devastato dalle sanzioni, da una crisi economica diffusa dove la moneta locale non vale nulla rispetto al dollaro, questioni cui la sceneggiatura e le immagini accennano, compresa in una scena la mole di Donald Trump che compare da un televisore) quanto abitato da una dimensione atemporale («Mi sono ispirato alle tragedie greche e di Shakespeare che inconsciamente hanno influenzato la mia scrittura», afferma Roustaee).

LA FAMIGLIA di Leila e i suoi fratelli Roustaee la conosce bene. È la stessa che già veniva descritta nel suo lungometraggio d’esordio Life and a Day. Ma con delle variazioni. «La famiglia è un tema centrale nella mia opera fin dai miei primi cortometraggi – spiega il regista – Quindi, a mio avviso, Leila e i suoi fratelli più che un aggiornamento è un seguito. Credo anche che, nonostante le premesse siano più o meno simili a quelle di Life and a Day, ci siano tante differenze in termini di narrazione, forma e personaggi. Specie per quanto riguarda la figura del padre, che è assente in tutti i miei altri film».

La redazione consiglia:
L’attrice Taraneh Alidoosti finalmente scarcerataUN PADRE che, incurante dei debiti familiari, per tutta la vita aveva nascosto soldi per i suoi interessi di potere, per venire incoronato capo della «famiglia» (fatto che avviene in una scena alla Padrino durante la festa in una villa, ma che per lui durerà poco, già destituito la sera stessa per questioni di regole non osservate e che getta l’uomo nello sconforto e in un preludio di morte).

 

È Leila – interpretata da Taraneh Alidoosti, una delle star del cinema iraniano, che impressionò fin dall’esordio nel 2002 a diciotto anni in I’m Taraneh, 15 per poi diventare attrice in diversi film di Asghar Farhadi e, al di fuori del lavoro, voce critica contro il regime e la repressione attuata dall’autunno scorso per cui è stata incarcerata il 17 dicembre 2022 e liberata dopo diciannove giorni di carcere con il pagamento di una cauzione – la figura centrale del film di Roustaee. Lei che propone ai fratelli di mettersi in proprio per trovare una soluzione ai problemi. Anche se la proposta di un uomo d’affari, conoscente di uno dei fratelli, potrebbe scatenare altri baratri. C’è chi tra loro deciderà di partire, chi si ribellerà nei confronti della fabbrica che l’ha licenziato. Leila intesse resistenze ed è sul suo volto (in una delle inquadrature più belle, insieme a quelle giocate su sguardi che si incontrano silenziosi in un film fitto di dialoghi), e non sarebbe potuto che essere così, che Leila e i suoi fratelli termina, dopo che buona parte della famiglia, nonostante tutte le ardue prove, si ritrova riunita in casa circondata da bambini in festa. Il tempo terreno è scaduto per il padre-patriarca. Lei lo osserva senza vita, sembra addormentato, sulla poltrona: guarda, sorride, chiude gli occhi, piange. Vita e morte, e viceversa.