Giorgia Meloni prova a fermare le voci sul successore di Speranza al ministero della Salute nel prossimo governo. «Dopo fallimentari gestioni come quella di Speranza & Co. vi assicuro che stiamo lavorando a una squadra di livello che non vi deluderà» è un suo tweet di ieri. «Non credete alle bugie che circolano».

La presa di distanze dal ministro della pandemia è un mantra della nuova maggioranza. Al voto di pancia, Meloni e Salvini hanno offerto la commissione d’inchiesta sull’operato di Speranza. Servirà da specchietto per lavorare senza disturbi alla partita che conta, quella sui fondi del Pnrr per la quale sarebbe strategico collocare al ministero una persona di fiducia. La leader postfascista sa che in tanti attendono una nomina di alto profilo. Per esempio, quella del direttore della Croce Rossa Italiana Francesco Rocca. Ma non rinuncerà volentieri a un ministro politico.

I quasi venti miliardi destinati alla sanità dal Piano fanno gola. Soprattutto gli otto stanziati per la riforma della sanità territoriale. Il progetto attuale ruota intorno alla costruzione di 1.300 case della comunità in cui riunire i servizi sanitari e sociali di base. L’obiettivo è sottrarli alla rete dei medici di famiglia che, di fronte a un virus che andava affrontato sul territorio prima che in ospedale, si è rivelata del tutto impreparata.

La destra asociale, in vista del voto, si è messa all’ascolto delle corporazioni che si oppongono alla riforma. Prima fra tutte quella dei medici di famiglia, la potente Fimmg che esprime anche il presidente degli ordini dei medici Filippo Anelli. Secondo la quale la proposta di lavorare da dipendenti nelle case di comunità e rinunciare alla libera professione è una dichiarazione di guerra. L’attenzione al tema è confermata dai nomi che circolano per riempire la casella della salute e che il sito Quotidiano Sanità, bollettino solitamente ben informato, ieri ha messo in fila.

Tra i politici papabili spiccano i nomi di Marcello Gemmato, farmacista a Terlizzi (Ba) e responsabile sanità di Fdi. Suo l’obiettivo esplicito di cancellare dal progetto le case di comunità e deviare i soldi del Pnrr verso le farmacie, in sprezzo a ogni conflitto di interesse. La parola d’ordine è «farmacia dei servizi». Cioè, ridisegnare la sanità territoriale intorno a un’attività commerciale privata che riceva soldi pubblici per fornire prestazioni sanitarie al cittadino. Non può che concordare il monzese Andrea Mandelli, candidato alla poltrona e collega di Gemmato sia come responsabile sanità di Fi che come farmacista (è presidente dell’ordine). Anche lui è critico sulla riforma. «Il nostro Governo anziché investire sull’esistente – a partire dalle farmacie – ha preferito coniare nomi nuovi e immaginare nuovi snodi», ha detto all’ultimo consiglio nazionale dell’ordine. Una scelta che «sottende delle piccole rivoluzioni e non pochi punti interrogativi».

La prima regione a istituire la farmacia dei servizi è stata la Lombardia con la riforma sanitaria firmata dall’assessora Letizia Moratti e non è un caso. Anche l’imprenditrice milanese era data in corsa, ma ieri ha fatto sapere di puntare alla presidenza della Regione. Fi ha in pista anche la senatrice Licia Ronzulli per la quale la sanità lombarda è stata a lungo un affare di famiglia. Ronzulli è un’ex-infermiera al «Galeazzi» di Milano, struttura privata del gruppo Sandonato. Uno dei manager di punta del gruppo è il suo ex-marito Renato Cerioli. Ronzulli però non piace a destra, perché ha difeso l’obbligo vaccinale e il green pass.

Potendo fare un nome di scuderia, alla salute la Lega metterebbe volentieri il geometra veronese Luca Coletto, ex-presidente dell’Agenas, sottosegretario nel Conte I, assessore alla sanità in Veneto e oggi in Umbria. A Perugia lo ha voluto la presidente leghista Donatella Tesei, una secondo cui è «strategico aumentare il tasso coinvolgimento dei privati nella sanità in Umbria, attualmente pari a meno di un terzo di quello della Lombardia» da prendere a modello.

Smantellare la riforma sanitaria disegnata nel Pnrr non sarà facile per Meloni e soci. Il ministero ha già firmato contratti istituzionali di sviluppo con tutte le Regioni per la sua realizzazione e si tratta di impegni vincolanti. Rimarrebbe poi il problemino di convincere Bruxelles. Stornare a favore di soggetti amici una quota dei fondi pubblici del Pnrr, senza rivoluzionarne l’impianto, invece è nelle cose. Ma non sarà indolore. Case e ospedali di comunità, oggi sottofinanziate e senza organico, hanno bisogno di un’iniezione di risorse per non rimanere scatole vuote. Un’ulteriore sottrazione le destinerebbe a fallimento certo.