José Donoso, dagli scavi nell’Es, capolavori in forma di mostruosità
José Donoso a Parigi nel 1987 (foto di Ulf Andersen/Getty Images)
Alias Domenica

José Donoso, dagli scavi nell’Es, capolavori in forma di mostruosità

Novecento cileno Il 5 ottobre del 1924 nasceva a Santiago José Donoso: alla sua riscoperta ha contribuito l’uscita dei Diarios, custoditi nelle Università di Princeton, dove si laureò, e dello Iowa, dove insegnò
Pubblicato circa un mese faEdizione del 6 ottobre 2024

Tormentato, insicuro, con una profonda vena di vittimismo e di paranoia mai alleviata dai lunghi anni trascorsi in analisi, José Donoso non si aspettava nulla dalla posterità e più di una volta aveva profetizzato che nel giro di un decennio i suoi libri sarebbero stati dimenticati; ma a quasi trent’anni dalla morte e a cento dalla nascita (a Santiago il 5 ottobre del 1924, in un’antica famiglia ormai decaduta), il tempo gli ha dato torto: dopo aver corso il rischio di venire collocato sullo scaffale dei classici dimenticati, e dopo un temporaneo offuscamento editoriale cui contribuì, forse, il dichiarato disprezzo di Roberto Bolaño – enfant terrible il cui approccio bellicoso alla letteratura lo induceva a emettere sentenze viperine e inattendibili – oggi lo scrittore cileno viene studiato e letto con speciale interesse e con una nuova consapevolezza della sua sorprendente modernità.

Membro di seconda fila del cosiddetto Boom, che tra gli anni Sessanta e Settanta vide il planetario successo di una ristretta cerchia di autori latinoamericani trapiantati a Barcellona e astutamente promossi da agenti ed editori locali, all’ epoca Donoso non ha goduto della fortuna di Vargas Llosa, di García Márquez o di Carlos Fuentes, e tuttavia la sua vasta ed eclettica produzione ha acquistato, con gli anni, uno smalto pari (e a volte superiore) a quello dei suoi amici e compagni di allora, amati e odiati a seconda del momento e dell’umore, sempre apertamente invidiati e da lui raccontati, nel 1972, in una ironica e acuta Historia personal del Boom.

Sgombrato il campo dai detriti del realismo magico, impalliditi o ridimensionati alcuni successi altrui, la scrittura di Donoso emerge finalmente come vitalissimo contributo alla letteratura latinoamericana del presente, grazie alla sua continua indagine sui limiti del linguaggio, all’uso sapiente della parodia, alla rivendicazione ludica della Storia, alla capacità di esprimere la violenza, l’orrore, l’instabilità dei ruoli e delle identità o il rapporto tra centro e margini, aprendo «spazi politici attraversati da complesse politiche del corpo» e «mettendo in questione l’identità sessuale come univoca, essenziale e immutabile», sottolinea Diamela Eltit, sua grande amica ed estimatrice. Un’opera edificata a partire dalla diversità, dal dubbio, dall’impossibilità di stabilire «un’unica onnipotente verità», e la cui valenza critica e sovversiva – al di là delle ripetute affermazioni di estraneità a militanze di qualsiasi colore – è intrinseca al testo, da cui sorge spontanea e quasi involontaria.

Dal Cile alla Spagna, dal Messico agli Stati Uniti, le modeste ma diffuse celebrazioni per il centenario, che comprendono lectio magistralis, convegni, mostre, nuove edizioni, numeri monografici di riviste importanti e cicli di film, vanno sottolineando una prospettiva critica differente da quella che vedeva in Donoso solo il narratore della decadenza di una borghesia oligarchica chiusa e feroce, per assegnargli una dimensione più universale e, in certo senso, meno «cilena». A sostenere la nuova lettura che si va proponendo hanno contribuito in anni recenti i materiali inediti variamente affiorati, a cominciare dalla bellissima e dolorosa biografia scritta dalla figlia adottiva Pilar – Correr el tupido vel (Alfaguara 2009), e dalla pubblicazione dei diari custoditi negli archivi delle Università di Princeton (dove l’autore si laureò nel 1950 con una tesi su «Jane Austen e l’eleganza della mente»), e dello Iowa, dove insegnò negli anni Sessanta.

Divisi in due collezioni composte da sessantaquattro quaderni, i Diarios tempranos. Donoso in progress (1950-1965) e Diarios Centrales. A season in hell (1966-1980), pubblicati rispettivamente nel 2018 e nel 2023 dalla UDP e curati dalla massima esperta degli studi su Donoso, Cecilia García-Huidobro, i diari sono allo stesso tempo un’opera letteraria (c’è chi li considera il vero grande romanzo del Novecento cileno) e un autentico «cantiere» in cui si dispiegano la genesi e l’elaborazione delle diverse opere, a partire da Coronación (1957), romanzo d’esordio trionfalmente accolto, che connota Donoso come uno scrittore di ossessioni e di incubi, gotico e al tempo stesso barocco.

Pagina dopo pagina, la sua calligrafia minuta e quasi illeggibile traccia un percorso fatto di maniacali scalette, ripensamenti, versioni multiple, correzioni, nuclei narrativi e simboli (in primo luogo lo spazio asfissiante e onnicomprensivo della casa), che porta al sottovalutato eppure significativo Este domingo (1966), a un capolavoro indiscusso come El lugar sin límites (1966), al grandioso affresco espressionista di El obsceno pájaro de la noche (1974), inserito da Harold Bloom tra i grandi libri del canone occidentale, a Casa de Campo (1978), brillantissimo e quasi sfacciato esercizio di stile che scivola in allegoria politica, fino al realismo denso di autobiografiche frustrazioni del notevole El jardín de al lado (1981).

Vengono poi i testi ritenuti minori (memoir, lievi «romanzetti borghesi», novelle, scritture eccentriche e inclassificabili), frutto di una maturità attiva fino all’ultimo, sempre diversi e compositi perché l’ambizione – e la tentazione – di Donoso era quella di sperimentare registri differenti e non omogenei, per mettersi ogni volta alla prova. E in parallelo, in un esplosivo disordine che la curatrice ha temperato, appaiono gli infiniti progetti mai realizzati, le molte idee scartate e i numerosi racconti conclusi e rifiniti, messi da parte perché ritenuti insoddisfacenti: una miniera di inediti, che acquistano valore e senso proprio perché lasciati nel loro contesto, e non impropriamente usati per accrescere a forza il catalogo dell’autore, consuetudine editoriale che del resto approda a esiti quasi sempre deludenti, come nel caso di Bolaño, di García Márquez o di Saramago.

Nel multiforme labirinto dei diari incontriamo anche un lettore curioso ed esasperatamente anglofilo (bilingue, aveva scritto i primi racconti in inglese), che non si stanca di registrare entusiasmi e delusioni; un narcisista pieno di manie, che conduce un’esistenza itinerante e appena si installa in un luogo sta già pensando al prossimo trasloco (Argentina, Stati Uniti, Messico, Portogallo, e soprattutto la Spagna: Barcellona, Mallorca, Calaceite, Sitges, Madrid), un fabulatore che trasforma ogni esperienza e ogni relazione in materiale per edificare la propria opera, un cittadino alle prese con la paura quotidiana della repressione nel Cile di Pinochet (vi aveva fatto ritorno definitivamente nel 1981), un marito e un padre spesso affettuoso, ma altrettanto spesso contraddittorio, instabile, arbitrario e perfino crudele, che si dichiara incapace di amare la moglie Maria Pilar, spinta all’alcolismo da una trentennale folie à deux, e che tuttavia non può vivere senza di lei.

La spietata sincerità del diario (un documento, diceva Donoso, che dopo la morte lo avrebbe fatto conoscere come uomo) include terribili giudizi, seguiti da altrettante dichiarazioni di affetto, su tutti coloro che gli erano vicini, e poi ansie, angosce, depressione, patetiche ingenuità, brutali descrizioni della perpetua crisi familiare e di continue difficoltà economiche, confessioni di un’omosessualità repressa e raramente praticata, paure e incubi, resoconti di un’introspezione ossessiva, ininterrotta e febbrile. Una infelicità fatta di milioni di parole, che testimonia come, tra i tanti mostri evocati da Donoso, ce ne fosse uno più implacabile degli altri, la letteratura, cui si era consegnato in modo così totale e assoluto da sfiorare l’autodistruzione.

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Donoso nell’editoria contemporanea
«Un romanzo mostruoso e miracoloso su mostri e miracoli»: così, nel 1973, il New York Times accolse El obsceno pajaro de la noche, pubblicato da Alfred A. Knopf. Una lettura in chiave di realismo magico che non piacque all’autore, come non gli piacque la decisione dell’editore di tagliare alcune pagine del testo. A quella mutilazione pone oggi rimedio la unabriged centennial edition che New Directions ha pubblicato in aprile nella nuova e integrale traduzione di Megan McDowell, introdotta da Alejandro Zambra. Un’edizione che Publishers Weekly ha definito «un grande avvenimento letterario», cui seguirà a marzo del 2025, sempre per New Directions, La misteriosa desaparición de la Marquesita de Loria, romanzo breve del 1980 finora inedito negli Stati Uniti e apparso anche in Italia nel 1983 (Frassinelli). Benchè oggi siano in buona parte assenti dalle nostre librerie (i lettori dovranno cercarle in biblioteca o sulle bancarelle dell’usato), in passato molte opere dell’autore cileno sono state tradotte in italiano, da Incoronazione (Dall’Oglio nel 1966 e poi Garzanti nel ’72), a Il luogo senza confini (Bompiani, 1974 e Sur, 2013), Casa di campagna (Feltrinelli, nel 1985, cambiò il titolo in Marulanda, ma Cavallo di ferro ripristinò quello originale nel 2009), La disperanza (Feltrinelli 1987), Storia personale del Boom (Bompiani,1974). Quanto al monumentale L’osceno uccello della notte, Bompiani l’ha ristampato più volte tra il 1987 e il 2003. In lingua spagnola, invece, tutta l’opera di Donoso è disponibile nelle edizioni Alfaguara.

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