L’apertura della Francia alla ricezione nel porto di Marsiglia della Ocean Viking, una delle navi ora ormeggiate in Itala ed impossibilitate allo sbarco dei naufraghi, segna un precedente.

Un precedente che è carico di implicazioni preoccupanti.Ora, molti ricorderanno la favola Pattini d’argento: una bambina si accorge di un piccolo buco nella diga che protegge il suo villaggio e resta con il dito nel foro sinché qualcuno arriva e lo ripara. La bambina era consapevole che quel piccolo foro, se lasciato aperto, avrebbe prima o poi causato il crollo della diga e la fine del suo villaggio. Un’altra immagine preliminare è quella della catena che risulta forte quanto il più debole dei suoi anelli.

Ebbene queste sono le metafore perfette e calzanti di ciò che rappresenta il Diritto Internazionale dei Diritti Umani, di cui le cosiddette «leggi del mare» sono una componente fondamentale, così come quelle dell’aiuto umanitario. In altre parole l’accoglimento della Francia apre una falla.

Questo significa che, chi volesse manomettere l’impianto multilaterale ed inclusivo sul quale ancora, seppur a fatica e con sempre maggior difficoltà, si regge la convivenza tra i popoli e le loro appartenenze nazionali, e dunque la residua quanto imprescindibile necessità di affrontare insieme i problemi del «villaggio globale», partirebbe proprio dal manomettere ciò che si rivolge ai più deboli e più esposti, segnatamente chi cerca l’affermazione del proprio diritto alla vita anche rischiando la morte.

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Questa è allora la posta in gioco nel braccio di ferro sullo sbarco dei naufraghi attualmente imbarcati su alcune navi di Ong; se si dovesse lasciare aperto questo vulnus nella diga del Diritto Internazionale si potranno a breve attuare altre manomissioni ancora più gravi. Ed a questo punto corre il dovere di richiamare una storia recente che ha avuto le stesse caratteristiche: quella della progressiva espulsione delle Ong umanitarie indipendenti dai teatri di guerra e la loro sostituzione con le azioni cosiddette umanitarie degli eserciti o delle organizzazioni «embedded» cioè arruolate. Tutto nasce con la dottrina Clinton della «guerra umanitaria» e del suo diritto di ingerenza, che portò ai bombardamenti della Serbia e poi all’invasione dell’Afghanistan.

Se vogliamo una versione attuale in chiave nazionalista di questa pratica, oramai collaudata, la possiamo trovare nella necessità di «denazificare» l’Ucraina da parte di Putin. E allora, paradossalmente, ma non troppo, oggi chi mette il dito nelle varie falle della diga non siamo tanto noi Ong che ci limitiamo a fare il nostro dovere e a richiamare le responsabilità che derivano agli Stati ed ai Governi dalle firme dei Trattati internazionali, quanto proprio quelle persone in stato di necessità che ci ricordano queste verità politiche e soprattutto morali nei confronti del consesso umano.

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Dobbiamo essere grati a queste persone che a rischio delle loro vite ci rammentano di cosa facciamo parte tutti quanti e che la navicella alla deriva nello spazio planetario non è solo la loro ma, come giustamente faceva notare il cosmonatuta Gagarin, il promo uomo al mondo che ha visto la Terra nella sua interezza: «Da qui vedo una navicella spaziale più grande della mia, non vedo confini, ma un solo pianeta».

Ecco, allora che la relazione tra flussi migratori, diritti umani ed ambiente, si compone in un unico quadro, ma anche in una unità di intenti. Non sarà possibile risolvere le questioni che oggi minacciano l’esistenza umana se non in un’ottica di diritti e doveri condivisi, a mano che qualcuno, come sta già facendo, non decida di lasciare qui sulla Terra l’umanità in eccesso e di emigrare nello spazio.

Ma noi amiamo Gaia e la difendiamo come parte di lei. Ecco perché richiamiamo tutti alle loro responsabilità e mettiamo chiaramente in guardia dalle conseguenze che si attiverebbero dal lasciare scorrere l’acqua dal buco della diga dei Diritti Umani: ne sarebbe travolto anche il governo attuale.

* Portavoce del CINI (Il Coordinamento italiano delle Ong internazionali)