Da anni dilaga nei Paesi europei un forte pregiudizio e ostilità anti-migratoria. I governi spesso ingannano l’opinione pubblica facendo credere che gli immigrati costituiscono un peso economico e una minaccia a non si capisce quale integrità.

In questa gara mendace ed autolesionista il governo italiano ha assunto le posizioni più oltranziste. Invece, i dati dimostrano che gli immigrati, ben lungi dal costituire un onere per gli Stati che li ospitano, rappresentano una risorsa. Se prendiamo il caso italiano, vediamo che nel 2020 le tasse e i contributi versati dagli immigrati nati all’estero, ultimi arrivati, ma regolarmente assunti, hanno ecceduto di 1,4 miliardi tutte le spese statali che li hanno riguardati. E ciò anche a voler includere quelle sostenute per detenerli nei campi di cosiddetta “accoglienza” o per rispedirli indietro.

Occorre inoltre aggiungere i benefici economici che gli immigrati arrecano con il loro lavoro, consumi, investimenti e che si traducono in aumenti sensibili del Pil (oltre il 9% nello stesso anno).

Né trascurabile è il loro apporto nel sopperire al bisogno crescente e non piccolo di manodopera in diversi settori nei quali quella autoctona è insufficiente. Il che riguarda certamente molti lavori poco qualificati in agricoltura, industria e terziario. Tuttavia il fenomeno concerne pure impieghi più specializzati in vari comparti.

L’analisi del mercato del lavoro nel nostro, come negli altri maggiori paesi europei, dimostra che, gli immigrati non sottraggono lavoro ai nativi; anzi la loro attività è richiesta in quantità ben maggiore per la tenuta produttiva di interi settori.

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Di più, l’immigrazione, non solo è benefica, essa risulta indispensabile per correggere uno squilibrio demografico divenuto insostenibile. Da un lato, il crescente calo della popolazione nei paesi più ricchi fa sì che un numero sempre maggiore di persone troppo giovani o anziane per lavorare dipende da una base vieppiù ristretta di quelle in età lavorativa, in proporzioni tali da non poter reggere nemmeno nel breve periodo (2 su 1,5 nei paesi dell’Ue più la Gran Bretagna).

E ciò richiede lavoratori immigrati 10 volte più numerosi di quanti bussano alle nostre porte. Dall’altro lato, nei Paesi meno sviluppati continua la spirale tra maggiore povertà e maggiore popolazione. Al punto che il previsto aumento della popolazione mondiale, di circa 2 miliardi entro il 2050, si concentrerà massimamente nelle regioni più povere: il 52% nell’Africa subsahariana, il 25% nell’Asia centromeridionale, seguite da Nord Africa ed Asia occidentale. E’ chiaro che senza una drastica riduzione delle diseguaglianze, accompagnata da una ben più ampia e sistematica immigrazione, ci troveremo in una situazione drammatica dagli esiti imprevedibili.

Inoltre, i Paesi più ricchi con il loro iperconsumismo provocano le maggiori alterazioni climatiche che colpiscono più pesantemente quelli maggiormente esposti e vulnerabili. È speranza vitale riuscire a ridurre drasticamente il riscaldamento globale invertendo le politiche energetiche in atto e modificando i sistemi di vita. Tra le altre gravi conseguenze il protrarsi dei ritardi finirà col trasformare le migrazioni attuali, del tutto controllabili, in massicci spostamenti di popolazioni, anche conflittuali.

Non bastasse, sono ancora e sempre gli Stati meta degli immigrati che rapinano le risorse naturali dei paesi di provenienza, impoverendoli ancor più. E lo fanno con i mezzi più spregiudicati e violenti; non esclusi interventi militari diretti e fomentazione di conflitti interni. Questa prepotenza cieca e irresponsabile rende ancora più invivibili le condizioni di quelle popolazioni, Sicché parlare di cooperazione o piani di aiuti è mera beffa.

In realtà, l’inganno e l’auto-distruttività delle politiche anti-migratorie fanno parte e sono la spia della irrazionalità e irresponsabilità politica di un potere che si è andato chiudendo ad ogni trasformazione, pur necessaria e vitale per l’evoluzione sociale.