Le turbolenze che agitano l’ex-Urss ricompaiono in Asia centrale. Durante il fine settimana, violente proteste di massa sono scoppiate nella Repubblica autonoma del Karakalpakistan (RAK), che è parte dell’Uzbekistan. Secondo le fonti ufficiali ci sarebbero 18 morti, 243 feriti, compresi 38 agenti, e 516 arresti di persone «poi rilasciate». Causa della rabbia popolare gli emendamenti alla Costituzione nazionale decisi nella capitale, Tashkent, in base ai quali la RAK avrebbe perso «il diritto di separarsi dalla Repubblica dell’Uzbekistan sulla base di un referendum del popolo del Karakalpakstan».

LA RAK È UN ALTRO dei risultati dell’«ingegneria delle nazionalità» sovietica secondo cui i territori dell’ex-Impero zarista vennero suddivisi tra entità federali su base etnica. La RAK apparve nel 1936 con un territorio enorme, quasi il 40% dell’Uzbekistan, in cui oggi vive circa il 5% della popolazione uzbekistana, pari a due milioni, di cui solo un terzo di etnia “eponima” karakalpaka,

Le proteste sono iniziate in modo apparentemente pacifico dopo la preghiera del venerdì. Migliaia di persone si sono radunate nella capitale regionale, Nukus, dove le manifestazioni sono degenerate in scontri. Il governo di Tashkent (sita ad oltre 1000 km di distanza) ha mobilitato la Guardia nazionale che ha usato gas lacrimogeni e proiettili di gomma contro i manifestanti. Numerosi i video che mostrano protestanti feriti. Le autorità in principio avevano ammesso la presenza di vittime, senza precisarne il numero.

Sabato e domenica, il presidente uzbeko Shavkat Mirziyoyev ha effettuato due visite separate a Nukus. Nella prima ha incontrato i deputati e leaders locali. Nella seconda, Mirziyoyev ha annunciato che le modifiche costituzionali riguardanti la RAK sono annullate. Nel frattempo, è stato dichiarato lo stato di emergenza, introdotto il coprifuoco (dalle 21:00 alle 07:00) fino al 2 agosto e chiuse le frontiere esterne della RAK.

ALLA FINE DEL XX SECOLO, l’habitat tradizionale dei karakalpaki, il corso inferiore del fiume Amu Darya, è stato devastato dalla catastrofe ecologica del lago d’Aral. In seguito alla salificazione del territorio e alla diminuzione dell’acqua disponibile, le condizioni di vita sono divenute draconiane spingendo molti abitanti della regione all’emigrazione.

I karakalpaki sono un popolo affine ai vicini kazaki, protagonisti di una breve ma distruttiva rivolta all’inizio di quest’anno, sedata grazie all’intervento militare della Russia. Il Kazakistan è una delle mete dell’emigrazione karakalpaka, entrando in contatto con le forze nazionaliste kazake. Un centinaio di lavoratori del settore petrolifero ad Atyrau, sul Caspio, hanno manifestato a sostegno dei protestanti in patria.

BENCHÉ RIMASTA A LUNGO sottosviluppata, la RAK dispone di ingenti risorse naturali e negli ultimi anni ha visto una crescita esponenziale della produzione d’idrocarburi. Tale fatto ha attirato ingenti investimenti industriali sudcoreani, oltre che richiamare un gran numero di uzbeki etnici, circostanza che ha anche esacerbato gli umori nazionalisti locali.

I manifestanti non sono stati in grado di comunicare le loro posizioni al mondo a causa del blocco di Internet imposto da Tashkent. Le autorità centrali hanno bollato le proteste come opera di «bande criminali» e, secondo un copione usuale per i regimi post-sovietici (come visto in occasione delle rivolte in Kazakistan a gennaio), di non meglio precisate ed oscure «forze esterne».

Nel contesto del confronto globale aperto dalla guerra in Ucraina, i gruppi nazionalisti e separatisti delle diaspore etniche e confessionali centrasiatiche vedono un’opportunità per ricordare al mondo della propria esistenza. Già a fine 2021, quando chi scrive ha risieduto a Nukus, si poteva notare l’attivazione di una certa guerriglia informativa, condotta da attivisti karakalpaki in esilio all’estero.

USCITO NEL 2016 dalla dittatura del presidente Islam Karimov, l’Uzbekistan ha condotto negli ultimi anni una politica di apertura verso i vicini, segnata anche da un riavvicinamento alle posizioni di Mosca. La situazione di una regione enorme e ricca di risorse quale il Karakalpakistan, con i suoi problemi e la sua posizione eccentrica rispetto alla capitale è tale che qualsiasi attore geopolitico intenzionato a creare problemi a Tashkent può trovare qui leve per fomentare forme di conflitto ibrido.