Sarà pure il club più esclusivo del mondo, e anche il più ricco e potente, ma il G7 che si apre oggi a Schloss Elmau, località delle alpi bavaresi, proietta l’impressione di una somma di tante debolezze più che l’immagine di un sinedrio dei padroni del mondo.
Nessuno di loro lo è, padrone, neppure a casa propria.

IL NUMERO UNO Joe Biden, innanzitutto, alle prese con un susseguirsi di vicende domestiche che sembra non saper o potere dominare e che deturpano il volto dell’America, intaccando obiettivamente la sua ambizione di ritorno alla leadership politica e morale del mondo.

Emmanuel Macron, che fatica a conservare la guida del suo paese, figurarsi quella dell’Europa. Olaf Scholtz, che, nel migliore dei casi, è ancora in una fase di apprendistato come leader di un paese, la Germania, a cui si stenta di attribuire il ruolo guida dell’Unione europea.

Boris Johnson, tracotante tanto quanto traballante. Draghi, ormai non più Supermario ma semplicemente il rappresentante del grande malato d’Europa.

Una bella gara a chi è messo peggio con i sondaggi di popolarità. Poi il canadese Justin Trudeau, il giapponese Fumio Kishida e i rappresentanti europei, ancora una volta nel ruolo di comparse.

SE SI TORNA INDIETRO a un anno fa, al vertice del G7 di Carbis Bay, in Cornovaglia, appare più evidente la sensazione di un quadro di forte criticità nella “stanza dei bottoni” delle potenze occidentali.

Nella foto di gruppo c’è ancora Angela Merkel, anche se prossima al congedo. Macron dispensa i sorrisi di chi si sente saldo al comando, Draghi è Supermario, Johnson si diverte con i suoi festini, che non fanno ancora scandalo. Soprattutto c’è un presidente americano che non è più Donald Trump.

È l’esordio internazionale del presidente dell’America is back. Dell’America che ricuce i rapporti transatlantici e ridà slancio alla Nato. Biden incontra Putin per tre ore, dopo il vertice in Cornovaglia. La guerra delle parole è già intensa tra le due sponde dell’Atlantico ma mancano otto mesi a quella vera.

PUTIN VEDE già nel vertice della Cornovaglia e poi nell’incontro con Biden indizi che l’incoraggiano ad approfittare di quella che considera una complessiva debolezza del fronte occidentale, quindi destinato a restare inerte di fronte a un’invasione armata dell’Ucraina.

È un calcolo sbagliato, frutto soprattutto della propria incapacità strategica e militare di condurre in porto una guerra lampo, con un rapido cambio di regime a Kiev, più che la conseguenza di una diagnosi sbagliata delle condizioni politiche in cui si trova l’Occidente. Che infatti oggi appaiono chiare, e non solo per le conseguenze di una guerra che assorbe risorse, soldi e riduce i consensi.

Passano così otto mesi che non saranno impiegati per scongiurare a ogni costo la guerra. E quando scoppia sembra addirittura cogliere tutti di sorpresa. Fino ad arrivare a oggi, a un vertice che vedrà protagonista, seppure a distanza, Volodimir Zelenskyy.

IL LEADER UCRAINO interverrà nuovamente, nel vertice della Nato a Madrid che seguirà il G7, secondo una consecutio che non è solo temporale ma di logica politica.

Il G7, che già nei suoi tempi migliori era poco più che una photo op dei Grandi della Terra, quando lo erano davvero o tali potevano sembrare, oggi trova il suo reale ubi consistam in quello che ne è il braccio armato, la Nato.

Un’alleanza militare non più atlantica ma di ampiezza globale, con un’evidente spostamento verso il Pacifico, seguendo le priorità strategiche degli Stati Uniti e dei suoi alleati regionali, il Giappone in primis.

IL TERRENO MILITARE, e dunque la Nato, sembra così essere diventato il perimetro entro cui trovare convergenze e sintonie altrove difficili, se non altro perché le agende domestiche di Biden e dei leader europei condizionano fortemente i loro movimenti e possibili sinergie su altri temi, come quelli che pure sono al centro dell’incontro del G7, sostenibilità, sicurezza alimentare, partnership con paesi in via di sviluppo, multilateralismo, trasformazione digitale.

L’Ucraina sarà presente anche come grande cantiere della sua ricostruzione post-bellica, tema evidentemente legato a quello di un ulteriore e prolungato invio di forniture militari e sostegno finanziario – oltre alla richiesta di nuove sanzioni a Mosca – che sarà al centro dell’allocuzione del presidente ucraino di fronte ai capi di stato e di governo dell’Alleanza atlantica a Madrid.

Arrivano molto provati, dunque, i leader occidentali ai due vertici in Germania e in Spagna, al punto che essi difficilmente potranno rivelarsi utili per recuperare terreno nei sondaggi domestici.

APPARE ORMAI FIN TROPPO evidente che il comune denominatore più solido è il sostegno all’Ucraina e alla sua attuale leadership.

Ma anche le apparizioni di Zelenskyy non hanno più un effetto positivo di empatia, quando non hanno quello contrario, mentre il protrarsi della guerra sta inesorabilmente riducendo anche il sostegno delle parti più simpatizzanti con la causa ucraina delle opinioni pubbliche occidentali. Per Biden e per i suoi alleati l’impegno per l’Ucraina ha un senso più forte se ha anche un valore simbolico e di monito più ampio, specie nei confronti della Cina.

Ma l’andamento della guerra non sembra sostenere questa ipotesi strategica, col rischio di non piegare la Russia e neppure intimidire la Cina.

In un mondo normale Biden e gli alleati ne avrebbero già preso atto, impiegando i due vertici in programma per correggere il corso degli eventi, lavorare a una exit strategy, per loro, finché sono nelle condizioni di poterlo fare, potendo perfino vantare il fatto che, già allo stato attuale, potrebbero considerasi i vincitori, loro, con le conseguenze della guerra che sono e saranno devastanti per la Russia, già dovesse finire oggi stesso.