Sulla tomba nella sezione musulmana del cimitero di Grande-Synthe, tra Dunkerque e Calais, ci sono pupazzi, smalti per le unghie dai colori infantili, una lepre di pezza e un puffo di plastica con le mani alzate. Giace riverso sul pietrino bianco che ricopre il tumulo, proprio sotto alla foto di una bambina avvolta in una felpa rosa che sorride un po’ imbarazzata. A fianco della foto c’è scritto: Rola Al Mayali, 2016-2024.

ROLA, di nazionalità irachena, aveva sette anni quando è morta affogata nel canale dell’Aa, all’altezza di Watten, a una trentina di chilometri dalla Manica e dalle coste di Dunkerque e Calais. Era il 3 marzo scorso. Secondo le autorità, i media e le associazioni francesi, il gommone sul quale si trovava con i familiari si è rovesciato su se stesso, intrappolandola sotto l’imbarcazione.

Rola e i suoi genitori cercavano di raggiungere l’Inghilterra attraverso la rotta più pericolosa, quella marittima che dalle spiagge francesi conduce alla scogliera di Dover. Una rotta che negli ultimi due anni si è fatta sempre più pericolosa, anche a causa degli interventi della polizia francese. Nel 2023, almeno 12 persone sono morte tentando la traversata, una cifra già raggiunta e superata in questa prima metà del 2024, durante la quale sono decedute almeno 15 persone.

Il fenomeno è in crescita esponenziale sin dal 2018-2019, quando, in concomitanza con la Brexit e dopo lo sgombero della jungle nel 2016, Francia e Gran Bretagna hanno firmato una serie di accordi per inasprire i controlli sui traghetti per i camion, fino a quel momento la rotta privilegiata dai migranti. Da allora, secondo la Préfecture maritime francese e le autorità doganali inglesi, si è passati da almeno 8mila persone arrivate via mare nel 2020, al record di 52mila che ci hanno provato nel 2022.

QUALCHE ORA prima della morte della piccola Rola, un altro migrante era affogato nel canale dell’Aa. Si chiamava Jumaa Al Hasan, aveva ventisette anni ed era in fuga dalla Siria. L’imbarcazione su cui si trovava, un altro canotto di fortuna, era stata notata dalle forze dell’ordine, che pattugliano costantemente i canali e le spiagge della regione. Secondo un’inchiesta pubblicata dal sito Mediapart, i poliziotti avrebbero cercato d’intervenire utilizzando gas lacrimogeni e caricando le persone in attesa, provocando un movimento di panico durante il quale Jumaa è finito sott’acqua, senza più riemergere. L’utilizzo di lacrimogeni, il dispiegamento della polizia antisommossa e più in generale la militarizzazione delle spiagge del Nord-pas-de-Calais sono visibili ormai a occhio nudo. Ogni accesso alle spiagge è presidiato da macchine della Gendarmerie o da furgoni di Crs, l’antisommossa francese. Durante la bassa marea, i dune buggy della polizia percorrono in lungo e in largo il litorale, facendo lo slalom tra i turisti dei numerosi campeggi della zona.

Pattugliamenti a Calais (Ap)
Pattugliamenti a Calais (Ap)

A GRANDE-SYNTHE, alla periferia di Dunkerque, nella sede dell’associazione Utopia 56, Thomas, coordinatore di un progetto di assistenza in urgenza ai migranti, si alza di scatto e va a prendere un grosso sacco di plastica rigida. Lo appoggia per terra vicino alla sedia, mostrandone il contenuto: una dozzina di granate MP7, le granate lacrimogene in dotazione alla polizia francese, ritrovate sulle spiagge locali «nel giro di due notti», dice. Thomas spiega che negli ultimi due anni, la polizia francese è divenuta sempre più violenta, «lanciando lacrimogeni sui gruppi di migranti che tentano di imbarcarsi sulle spiagge o bucando i gommoni in mare o sulla spiaggia».

«La polizia francese ha il bisogno di mostrare alle autorità inglesi che interviene, che fa qualcosa per arrestare questo flusso di persone», dice Thomas, chiamando in causa i numerosi accordi siglati da Parigi con Londra per la sorveglianza del passaggio della Manica.

«Così, negli ultimi due anni, ha moltiplicato le violenze contro chi cerca di partire, aumentando i rischi per le persone – spiega – Fino a due anni fa, la stragrande maggioranza delle partenze era sulle spiagge tra Calais e Dunkerque. Ora, a causa della repressione poliziesca, la gente parte da sempre più lontano, anche dal litorale di Boulogne», quasi 40 chilometri a sud di Calais, moltiplicando per due o per tre la distanza da percorrere in mare per arrivare in Inghilterra.

A riprova dell’ampiezza del fenomeno, Thomas mostra una mappa su cui sono segnati i punti di partenza registrati da Utopia 56. Una costellazione di piccoli puntini sull’intero litorale francese, dalla frontiera con il Belgio a nord alle lussuose spiagge di Le Touquet-Paris Plage a sud, la località balneare dove Emmanuel e Brigitte Macron hanno una residenza privata.

Migranti in un centro di detenzione a Calais Afp
Migranti in un centro di detenzione a Calais – Afp

LE PARTENZE in gommone si effettuano nelle notti e i giorni di bel tempo, approfittando di quando la bassa marea trascina le imbarcazioni verso il mare. Per monitorare il fenomeno e assistere i migranti, Utopia 56 ha messo in piedi delle maraudes, piccole unità che si spostano di spiaggia in spiaggia tenendosi in contatto su Whatsapp, a bordo di macchine stracariche di materiale di prima necessità: calzini, giacche, pantaloni, enormi thermos di tè, scarpe. Il perché appare chiaro poche ore dopo il primo incontro con Thomas.

ALLE 3 DI NOTTE, un gruppetto di persone cammina sotto alle gigantesche reti metalliche sovrastate dal filo spinato che circondano il porto di Calais. Sono 14 migranti bagnati fino al midollo, alcuni avvolti in coperte termiche. La macchina di Thomas si ferma, si sbarca il tè caldo e si fa l’inventario: quanti vestiti asciutti? Quante calze? Ci sono feriti? Le scarpe non sono mai abbastanza, dice Thomas, la politica è di lasciarle asciugare, fornire dei pezzi pre-tagliati di coperta termica da avvolgere ai piedi per potersele rimettere senza ammalarsi.

YAKIM ha 29 anni ed è con suo figlio che ne ha dieci. Vengono da Damasco, sono passati dalla Germania, dove gli è scaduto il permesso di residenza valido un anno. Mentre mette via gli abiti bagnati in grossi sacchi della spazzatura forniti da Thomas, spiega che si trovavano con altre 50 o 60 persone su un grosso gommone, quando il motore si è fermato. «C’è stato del panico, abbiamo deciso di scendere», dice. Si sono trovati a camminare chissà quanto nella bassa marea delle lunghe spiagge di Calais.

Con Yakim e suo figlio c’è una famiglia di curdi siriani, con tre figli al seguito; e Mohammad, un trentenne iracheno che snocciola i nomi delle frontiere europee come fossero un rosario: dalle tende a Ostia alla Lituania, fino a Berlino e ora l’ultimo tentativo per l’Inghilterra. I permessi gli sono scaduti ed è «dublin», dice, in riferimento agli accordi di Dublino che prevedono l’obbligo di richiedere l’asilo nel primo paese europeo nel quale si arriva. Dopo essersi cambiato, si dà una pacca sul petto e tira fuori una bustina di plastica legata al petto: documenti e soldi, una soluzione impermeabile a prova di naufragio.

PIANO PIANO il gruppo si dirada, con in mano i sacchi della spazzatura con dentro i vestiti zuppi, malgrado i tentativi di Thomas di assicurare accoglienze d’urgenza per le famiglie. Fa circolare un foglietto con il numero di Utopia 56: «S’il y a police mushkila, you call us», spiega in una specie di patois anglo-arabo-francese, se ci sono problemi con la polizia, chiamateci.

Mano a mano che la notte cede il passo all’alba, i gruppi sulle strade tra Dunkerque e Calais si fanno sempre più numerosi, così come i messaggi nella chat della maraude. Nei pressi di Wimereux, all’estremo sud della costa, «delle famiglie sono sulla strada, gli hanno impedito di partire con gas lacrimogeni», scrive un membro dell’associazione Osmose, partner di Utopia 56. Un altro volontario segnala un altro gruppo di 50 persone: passeggiano, bagnati, sulla strada a sud di Calais. Sulla regionale tra Sangatte e Dunkerque, intanto, un gruppo di un centinaio di persone incrocia la macchina di Thomas, poi un altro e un altro ancora. A chiudere la processione un uomo con un bebè vestito di rosso infilato in un porta-neonati. Thomas stringe i denti: «Non possiamo fermarci, non abbiamo abbastanza tè o vestiti».

Poco più avanti, una decina di ragazzi aspetta alla fermata dell’autobus il primo mezzo della giornata. Sono sudanesi, tra loro c’è un minore.

Facevano parte di un gruppo di quasi 150 persone che ha cercato di partire dalle spiagge di Sangatte con tre gommoni, spiegano due di loro, preferendo restare anonimi. «I poliziotti ci hanno visto, ci sono corsi addosso e hanno bucato i gommoni coi coltelli – spiega uno – I poliziotti in questo paese sono dei diavoli». Delle tre imbarcazioni solo una è riuscita a partire, nel parapiglia generale scatenato dall’intervento della polizia.

GLI AGENTI non hanno effettuato arresti né controllo: hanno solo bucato i gommoni prima di allontanarli a spintoni dalla spiaggia, spiegano i ragazzi. Thomas gli serve quel poco di tè che resta. «Non mi serve il tè», dice un ragazzo avvolto in una felpa grigia, sorseggiandolo tuttavia da un bicchiere di plastica. «Mi serve l’Inghilterra».