Gli eventi seguiti alle primarie tenute a luglio in Colorado sono stati indicativi del “new normal” elettorale negli Stati uniti. Alcuni candidati repubblicani perdenti hanno gridato alla frode elettorale e presentato ricorso. Durante le verifiche delle schede gruppi di manifestanti hanno presidiato i seggi, insultato gli scrutinatori, e tentato di riprendere le operazioni, alcuni, raccolti in preghiera, hanno perfino invocato flagelli divini contro gli avversari.

Scene simili si sono verificate in numerosi stati. Nelle primarie lo scontro è stato fra repubblicani moderati ed oltranzisti ma si è presumibilmente trattato solo di un anticipo di ciò che potrebbe accadere a novembre quando in ballo ci sarà la maggioranza parlamentare ed il destino politico del paese.

Il 51% dei 569 candidati repubblicani in corsa per riconquistare il Congresso sottoscrivono la mistificazione delle «elezioni rubate», la Big Lie diffusa da Donald Trump nel 2020, sfociata nell’assalto a Capitol Hill.

IL COPIONE viene ora ripreso da numerosi candidati seguaci del Maga (Make America Great Again). Almeno una dozzina di loro ha rifiutato di dire se accetterà l’esito delle urne, proprio come aveva fatto l’ex presidente due anni fa, insinuando per di più che un risultato sfavorevole costituirebbe la prova di brogli.

Dopo Trump le denunce di presunte irregolarità sono diventate assioma centrale della narrazione di destra anche se studio dopo studio rivela che negli Stati uniti queste sarebbero minime e statisticamente ininfluenti. Un’indagine della Columbia University ad esempio ha rilevato 31 casi di voto doppio su oltre un miliardo di schede dal 200 al 2014. Un rapporto del Brennan Center ha determinato che l’incidenza complessiva di schede irregolari si attesta fra lo 0,0003% ed il 0, 0025%.

NATURALMENTE, in regime di fake news – quella che il New York Times ha definito «la metastasi di disinformazione che è tratto caratterizzante dell’odierna politica americana» – i dati non hanno la presa che ha invece la martellante retorica sul «sospetto» di brogli corredata di ricorrenti «voci» su «stranieri clandestini» spediti dai democratici ad ingrossare le liste elettorali di stati strategici o scatole di schede «false» recapitate nottetempo alle entrate di servizio dei seggi.

Nella risultante incertezza ogni accusa e diversivo diventa attuabile e ogni pettegolezzo plausibile. Mina la fiducia nel sistema che è necessaria precondizione del processo democratico.

MA PUR SE FAVORITI dalla storia, i repubblicani non danno nulla per scontato. La manipolazione dell’affluenza e dei collegi elettorali fa parte della tradizione americana. Numerosi stati ad amministrazione repubblicana hanno promulgato obblighi più severi di documentazione e diminuito il numero di seggi per inibire l’afflusso di minoranze tendenzialmente di fede democratica, sempre con il pretesto delle necessaria lotta ai brogli.

Il governatore trumpista della Florida, Ron DeSantis, ha perfino istituito un corpo di polizia preposto alla persecuzione della «frode elettorale». Lo scorso agosto in una serie di raid all’alba, gli agenti hanno arrestato una dozzina di ignari cittadini (tutti democratici e quasi tutti afroamericani) per aver votato pur avendo precedenti penali squalificanti, dopo aver ricevuto a casa la tessera elettorale. Rischiano 5000 dollari di ammenda e 5 anni di reclusione.

A Phoenix, Arizona, gruppi di “osservatori” negazionisti, armati e in mimetica, hanno presidiato per giorni alcune cassette per il voto anticipato filmando le persone che vi depositavano le schede.

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Ma oltre all’intimidazione, il partito oggi controllato dalla corrente Maga ha pronto anche un piano B – bloccare preventivamente gli scrutini nei collegi sfavorevoli.

Già lo scorso giugno una registrazione trapelata in Michigan da uno strategy meeting repubblicano, rivelava il progetto di collocare nei seggi scrutinatori «di fiducia» e addestrati per inficiare i risultati. Le elezioni Usa vengono amministrate a livello locale da ogni singola amministrazione che reperisce scrutinatori e lavoratori dei seggi, pagati o volontari. Solitamente vengono selezionati ed istruiti dagli uffici preposti (normalmente a livello provinciale) che allo scopo indicono bandi e mettono annunci.

Il piano delineato da Matthew Seifried del comitato repubblicano, è quello di collocare scrutinatori affidabili nel massimo numero possibile di collegi a maggioranza democratica col compito di presentare immediato ricorso, se possibile prima ancora che gli scrutini siano completati. Allo scopo di formalizzare i ricorsi in tribunale il Gop avrebbe reclutato anche centinaia di avvocati.

Nella registrazione ottenuta da Politico Seifried afferma: «Sarà un esercito, avremo più avvocati di sempre perché, diciamocelo, è li che si giocherà la partita».

Si prefigura, ove necessario, la stessa strategia messa in campo dagli avvocati di Trump nel 2020. In quel caso la quasi totalità dei ricorsi vennero respinti e alcuni funzionari chiave rifiutarono le pressioni per decertificare i risultati.

Questa volta basterebbe ritardare i risultati in alcuni stati strategici, insinuare il dubbio e inceppare il meccanismo per prender il tempo necessario ad un eventuale intervento di un magistrato o un parlamento nella manciata di stati più contesi.

E negli ultimi due anni molti dei funzionari “etici” (specificamente gli attorney general, i procuratori generali di ogni stato) sono stati sostituiti con persone più “affidabili”.

INTERFERENZE così palesi sono difficili da contemplare in altre democrazie mature – in Usa hanno una lunga storia che risale alle manipolazioni per inibire il voto dei neri negli stati ex schiavisti. Con Trump le operazioni sono diventate plateali, e dichiarate.

Solo un paio di settimane fa Steve Bannon ne ha parlato apertamente durante un convegno di cattolici integralisti in Arizona. «Loro dicono che ‘ogni voto conta’. Beh non è proprio così. Contano quei voti legali, scrutinati, verificati di cittadini americani correttamente iscritti alle liste. Per questo abbiamo addestrato decine di migliaia di osservatori e scrutinatori. Perché se mettiamo i limiti giusti loro non possono vincere!».

Nello scontro di civiltà insomma il fine giustifica i mezzi. È il senso della mutazione genetica del partito repubblicano in forza fanatica ed eversiva. Ragione per cui in queste elezioni, ancora una volta, potranno essere determinanti non solo i voti ma ciò che avverrà dopo la votazione.