Sandra Newman, Orwell parla con voce di donna
Scrittrici statunitensi Volgendo al femminile le cupe atmosfere di «1984», Sandra Newman ripercorre, in «Julia», i luoghi di quella distopia, aggiungendo brutalità: da Ponte alle Grazie
Scrittrici statunitensi Volgendo al femminile le cupe atmosfere di «1984», Sandra Newman ripercorre, in «Julia», i luoghi di quella distopia, aggiungendo brutalità: da Ponte alle Grazie
La riscrittura dei classici ha conosciuto a partire dalla seconda metà del Novecento una diffusione straordinaria: alcuni tra i più importanti autori contemporanei, da Coetzee a Tournier, da Margaret Atwood a Peter Carey a Percivall Everett, si sono cimentati nella ripresa di opere canoniche, ora per raccontarne le vicende secondo la prospettiva di personaggi minori, ora immaginandone gli antecedenti o le conseguenze, ora secondo un intento politico, oppure per contestare l’autorialità del testo primario, instaurando una dialettica tra significati, valori e epoche di riferimento. Julia, di Sandra Newman, (traduzione di Claudia Durastanti, Ponte alle Grazie, pp. 485, € 24,90) è un tipico esempio di writing back, una sorta di contraddittorio instaurato dall’autrice con Orwell e il suo 1984, nel tentativo di volgere al femminile la celebre distopia. L’idea di dare voce alla figura di una donna, marginalizzata o assente in un’opera classica non è originale: l’esempio più citato è Grande Mar dei Sargassi di Jean Rhys, che racconta la storia della pazza rinchiusa nella soffitta di casa Rochester in Jane Eyre, mentre una tra le riscritture più audace è in Foe di Coetzee, che immagina una donna, già naufraga sull’isola deserta insieme a Robinson Crusoe e Venerdì, entrare in aperto contrasto con lo scrittore Defoe, intenzionato a cancellarne la presenza dalla sua narrazione.
Tuttavia, mentre i romanzi di Coetzee o Rhys sono opere perfettamente autonome, che si possono leggere anche senza conoscere il testo classico cui fanno riferimento, per apprezzare Julia occorre (ri)leggere 1984: nella prima parte, infatti, seguendo il lavoro di Orwell passo dopo passo, Newman ne rivede personaggi, situazioni e ambienti attraverso lo sguardo di Julia, l’amante di Winston Smith, il protagonista orwelliano. Chi conosce 1984 si trova così a ripercorrere sentieri narrativi conosciuti; ritrova luoghi e oggetti entrati nella memoria collettiva, come la stanza in cui gli amanti si danno appuntamenti clandestini sopra il negozio del rigattiere, gli inquietanti uffici cupi e privi di finestre del Ministero della Verità o il fermacarte che racchiude un corallo. Al contrario, chi non ha letto il romanzo di Orwell rischia di provare un senso di straniamento di fronte a una distopia che si svolge in un passato ancora vivo nella memoria, e lo raffigura simile all’Inghilterra grigia e misera dell’immediato dopoguerra. Inoltre, alla luce del testo orwelliano, acquisiscono significato (o, in altre occasioni, sconcertano chi legge) certe decisioni di Julia assenti in Orwell, per giustificare le quali Newman immagina l’infanzia della sua protagonista in un terrificante campo di detenzione per dissidenti e la segue, adulta, nell’ostello in le cui giovani ospiti, esposte agli schermi del partito in ogni momento della loro giornata, abusate e violentate, vittime di gravidanze indesiderate, patiscono sui loro corpi l’arroganza e la violenza del potere. Il femminismo di Julia, ambiziosa e ribelle, si concentra quasi esclusivamente nella rivendicazione del diritto al piacere, in un regime in cui il sesso extraconiugale è illegale (e quello coniugale, appena tollerato, è finalizzato esclusivamente alla procreazione).
Abbandonato Smith al suo destino, nella seconda parte del romanzo, Newman segue Julia negli abissi mostruosi delle carceri di regime, fino alla misteriosa e orrifica stanza 101. Laddove Orwell crea un’atmosfera terrorizzante senza indulgere in eccessi di brutalità, Newman non risparmia i dettagli delle torture cui Julia viene sottoposta – e a cui riesce immancabilmente a sopravvivere. La sua forza d’animo e la sua capacità di resistenza lascerebbero supporre, a differenza di quanto accade a Smith, un’apertura positiva per il suo futuro. E tuttavia, proprio l’ultima pagina del romanzo sembra negare questa possibilità: paradossalmente, manca in Julia quel raggio di speranza che si può trovare nell’«Appendice sulla neolingua» posta da Orwell a conclusione di 1984.
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